L’allarme del Grande Cocomero

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Nel cuore del quar­tiere di San Lorenzo a Roma, in fondo a via dei Sabelli a ridosso del Verano, c’è il reparto di neu­ro­psi­chia­tria infan­tile del Poli­cli­nico Umberto I. Una strut­tura all’avanguardia, con una sto­ria che sem­bra una favola e che ora rischia len­ta­mente il declino e la chiu­sura, facendo venire meno un ser­vi­zio sani­ta­rio di rile­vanza nazio­nale e dis­si­pando un patri­mo­nio di pra­ti­che e conoscenze.

Un reparto fon­dato con il lavoro di Gio­vanni Bol­lea, medico illu­mi­nato e che alla fine degli anni ’70, nel clima di grandi cam­bia­menti e spe­ri­men­ta­zioni aperti dalla Legge Basa­glia, lascia campo libero ad un gio­vane neu­ro­psi­chia­tra, Marco Lom­bardo Radice, che si carica sulle spalle il rin­no­va­mento della strut­tura lascian­dole un’impronta inde­le­bile e dedi­can­do­cisi anima e corpo fino alla sua scom­parsa nel luglio dell’89.
A fare da Cice­rone è Mat­teo, infer­miere che qui in via dei Sabelli ha fatto il tiro­ci­nio per poi tor­narci a lavo­rare. «Stanno pro­vando a chiu­derci len­ta­mente: per­so­nale che va in pen­sione e non viene sosti­tuito, tra­sfe­ri­menti, taglio dei fondi».

Dal cor­tile Mat­teo indica in alto: «Lo vedi quel piano? E’ il reparto di neu­ro­lo­gia pedia­trica con i posti letto per i bam­bini e i geni­tori. Ora è chiuso, prima ci veni­vano da tutta Ita­lia». Ci muo­viamo per andarlo a vedere, die­tro la porta un mondo «con­ge­lato» e per­fet­ta­mente pulito: i letti al loro posto, la cucina e la sala gio­chi in ordine, i dise­gni dei bam­bini attac­cati alle pareti. «Ora è chiuso e non sap­piamo se riu­sci­remo a ria­prirlo a set­tem­bre».
Pas­seg­giando per la strut­tura incon­triamo una fila indiana di ragaz­zini dai 12 ai 16 anni che si appre­sta ad uscire. «Vedi – rac­conta ancora Mat­teo – quelli sono i nostri pazienti rico­ve­rati, vanno a com­prare la pizza. Per noi il rap­porto con il quar­tiere è fon­da­men­tale, per que­sto abbiamo una asso­cia­zione che si chiama il Grande Cocomero con cui ogni anno fac­ciamo una festa in piazza dove a reci­tare sono i nostri pazienti. Il disa­gio psi­chico qui si com­batte così, non con la reclu­sione o solo con le medi­cine, ma con la socia­lità l’integrazione in un ter­ri­to­rio». Pro­prio per que­sto a difen­dere neu­ro­psi­chia­tria infan­tile c’è in prima linea la «Libera Repub­blica di San Lorenzo», che rac­co­glie spazi sociali, asso­cia­zioni, cit­ta­dini del quartiere.

Cam­mi­niamo e arri­viamo all’ultimo piano. Qui c’è il reparto spe­cia­liz­zato nell’età ado­le­scen­ziale, la grande intui­zione di Bol­lea che sarà poi messa in pra­tica da Marco Lom­bardo Radice: l’età evo­lu­tiva ha sem­pre di più delle pro­prie carat­te­ri­sti­che e va trat­tata sepa­ra­ta­mente e in maniera nuova. Ad atten­derci c’è Gra­ziella, anima e corpo dal 1976 del reparto, una di quei mili­tanti dell’ex Auto­no­mia Ope­raia «gen­tili», che Lom­bardo Radice rac­conta nel Rac­co­gli­tore di Segale, «che non face­vano un’ora di straor­di­na­rio» ma che lot­ta­vano anche per la qua­lità del ser­vi­zio e «dopo aver fir­mato pun­tual­mente l’uscita, o nei giorni di riposo, più di un’infermiera si porta a casa o al cinema qual­che ragazzino».

Sul pia­ne­rot­tolo delle scale antin­cen­dio tra una siga­retta e l’altra Gra­ziella non smet­te­rebbe più di par­lare — con il suo indi­stin­gui­bile inter­ca­lare romano — di rac­con­tare con pas­sione che l’ha resa negli anni un’istituzione dai micro­foni di Radio Onda Rossa, radio libera che alla sua casa sem­pre qui a San Lorenzo. «Il Ita­lia non esi­ste­vano linee guida sulle malat­tie psi­co­ti­che degli ado­le­scenti. Qui abbiamo comin­ciato con Marco ad inven­tarci a spe­ri­men­tare tutti insieme, a for­marci – ricorda Gra­ziella — Abbiamo comin­ciato ad accet­tare i cosid­detti casi dif­fi­cili, accet­tando la sfida di aiu­tare que­sti ragazzi in maniera diversa, dando impor­tanza al corpo e anche alla mente, si discute e s’impara con l’appoggio di Bol­lea. Lavo­riamo tanto anche per­ché — come diceva Lom­bar­done — gli ’ado­le­scenti ti sucano’».

Medici, psi­co­logi e infer­mieri s’inventano labo­ra­tori di pit­tura e tea­tro, i ragazzi ven­gono por­tati in gita fuori «per­ché non vole­vamo fare pic­coli mani­comi per ado­le­scenti ma il con­tra­rio». «Noi non abbiamo voluto i clown in cor­sia, abbiamo fatto noi dei corsi per impa­rare a far ridere i nostri ragaz­zini, a rispon­dere in maniera ade­guata al dolore e l’angoscia», un per­corso di ricerca e inno­va­zione che dura fina ad oggi, che non si è fer­ma­to­con la scom­parsa di Marco Lom­bardo Radice: «Solo qual­che mese fa abbiamo discusso molto tra di noi sull’opportunità o meno di con­sen­tire l’accesso a inter­net ai ragazzi rico­ve­rati. Alla fine abbiamo fatto met­tere la rete e un pic­colo labo­ra­to­rio di com­pu­ter, non poteva essere lasciato fuori la porta un mezzo di comu­ni­ca­zione impre­scin­di­bile per i nostri pazienti, anche se chia­ra­mente ne moni­to­riamo l’utilizzo».

Alla fine con Gra­ziella arri­viamo a par­lare della società che ci cir­conda, dell’aumento delle pato­lo­gie psi­chia­tri­che negli ado­le­scenti «che cre­scono sem­pre prima» in un mondo «fatto sem­pre più di indi­vi­dua­li­smo e com­pe­ti­zione». Malat­tie che nascono da disagi che «devono essere ascol­tati. Noi fac­ciamo anche pre­ven­zione, acco­gliamo i pro­blemi prima che sfo­cino in situa­zioni gravi. In que­sto reparto il rico­vero è l’ultima istanza, prima di arri­vare a que­sto si potrebbe fare molto di più, ma se un geni­tore chiede una visita spe­cia­li­stica, pur­toppo rischia di aspet­tare anche sei mesi. Avremmo biso­gno di più per­so­nale, invece stiamo andare verso la chiu­sura, cau­sata dai tagli, dai tra­sfe­ri­menti e dalla man­canza di tourn over».



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