L’Occidente in fuga dalla Libia Errori e illusioni del dopo Gheddafi

by redazione | 28 Luglio 2014 10:52

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2014, fuga dalla Libia. Il Paese nordafricano, così vicino all’Italia, è come un vulcano. Espelle lapilli e violenza, travolgendo tutto e tutti. Anche la superpotenza Usa pare arretrare davanti alla spinta delle milizie. L’ultimo segnale è venuto dall’ordine di evacuazione di gran parte dello staff dell’ambasciata statunitense da Tripoli. Uno sgombero sotto scorta di caccia e marines per evitare altre tragedie.
Chi aveva sognato — esatto, sognato — una Libia diversa dopo la sconfitta di Muhammar Gheddafi deve prendere atto che il paese non è solo ingovernabile ma neppure controllabile. E nulla fa pensare che le cose possano cambiare in futuro. All’origine del caos permanente tre fattori. Il primo: l’assenza di un potere centrale. Una conseguenza del disordine, della mancanza di leadership ma anche un’eredità del passato regime, entità dove non esistevano strutture degne di questo nome. C’era solo lui, il raìs, Muhammar. Sotto di lui lo zero. Detronizzato il Sultano è rimasto poco o niente. Il secondo elemento sono le milizie. Era inevitabile che diventassero un centro di potere alternativo. Divise, gelose, in lotta perenne hanno costituito i loro feudi geografici e clanici, sfruttando anche l’appoggio di attori esterni, come il Qatar, regista occulto di molte manovre. Infine il terzo fattore: la spinta di gruppi estremisti, alcuni di ispirazione qaedista o jihadista, con agende locali che si mescolano a manovre regionali. Entità capaci di estendere le loro ramificazioni alle formazioni che agiscono in Tunisia o, più a Sud, nell’area sub sahariana.
L’Occidente si è illuso di poter fiancheggiare questa realtà, si è affidato a intermediari, tentando di raggiungere un minimo di stabilità per non compromettere gli enormi interessi economici (petroliferi). Ma è stata una manovra che almeno sul piano politico ha dimostrato di avere il fiato corto. E nel più classico degli inganni mediorientali, chi è stato aiutato non ha dimostrato riconoscenza ma odio. Un voltafaccia racchiuso nel sacrificio dell’ambasciatore americano Chris Stevens a Bengasi. Un uomo che aveva creduto in un’altra Libia e come altri è stato tradito.
Guido Olimpio

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