Rapporto sui diritti globali dopo la crisi, Manconi: “L’Italia deve fare la sua parte”

Rapporto sui diritti globali dopo la crisi, Manconi: “L’Italia deve fare la sua parte”

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ROMA – Economia, welfare, ambiente e diritti umani. La ricerca del Rapporto sui diritti globali* a cura dell’associazione Società informazione e promosso dalla Cgil fa un quadro trasversale e approfondito sullo status della società in questi anni di crisi. Giunto alla dodicesima edizione, le tinte restano fosche. Politiche internazionali inadeguate e miopia delle istituzioni, hanno riportato l’Italia e molti altri paesi del mondo indietro di alcuni decenni aumentando le disparità sociali che sono costati all’Europa e al mondo perdite non solo a livello economico, ma anche umano. A presenziare la presentazione del rapporto è Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti umani al Senato.

Durante la presentazione del Rapporto sui diritti globali ha evidenziato la difficoltà della politica di mettere a puto strategie efficaci e a volte la mancanza di volontà nel risolvere le problematiche legate ai diritti umani e sociali.

La tentazione costante è quella di affrontare tutte le grandi questioni sociali come emergenze. Questo connota gran parte delle politiche pubbliche nazionali da decenni. L’esempio lampante è la questione della migrazione: nonostante la consapevolezza e la prevedibilità del fenomeno soprattutto in concomitanza di guerre e di altri fattori di crisi a livello internazionale, arriviamo sempre impreparati ad affrontare i flussi migratori. Chiamiamo emergenza quella che non è nient’altro che la conseguenza fisiologica di eventi prevedibili.

Cosa può fare l’Italia, anche a livello europeo, per realizzare politiche efficaci rispetto ai flussi migratori?

L’Italia deve fare a sua parte, cosa che non fa. Purtroppo lo Stato fa male solo un pezzo della parte che gli compete. Il numero dei rifugiati riconosciuti in Italia è estremamente limitato rispetto a quelli presenti in Germania o in Inghilterra. Questo modo di agire la rende meno autorevole quando richiede, come è giusto che sia, che l’Europa condivida la fatica di affrontare la questione dei profughi e dei rifugiati. La vera questione è fare la propria parte e partendo da questo coinvolgere l’Europa per una politica condivisa.

L’Italia, durante il suo semestre di presidenza europea riuscirà ad imporre politiche nuove, all’avanguardia, nel campo dei diritti umani e sociali, nonostante le carenze ancora presenti nel sistema nazionale?

È una straordinaria occasione, spero non venga dissipata. Per quanto riguarda i flussi migratori, abbiamo elaborato un piano che si chiama “Ammissione umanitaria” che consiste nell'”avvicinamento” della richiesta di protezione temporanea, cioè organizzare un sistema di presidi gestiti da consolati, ambasciate e organizzazione umanitarie nei paesi da cui partono o si addensano i migranti, per rendere possibile a quelle persone di chiedere la protezione temporanea. Questo ridurrebbe il numero delle vittime durante la traversata del Mediterraneo e avrebbe anche l’effetto di distribuire su tutto il territorio europeo i richiedenti asilo. Sarebbe un primo importante risultato. L’Italia dovrebbe promuovere questa proposta a livello europeo.

Oltre ai flussi migratori, quali sono i problemi più urgenti che l’Italia dovrebbe affrontare? Quanto la crisi sta pesando sui diritti delle persone?

Sono tante, una priorità dovrebbe essere il lavoro. La crisi pesa enormemente sulle politiche sociali perché bisogna ricordare che la tutela dei diritti umani non è gratuita. Richiede risorse, norme, servizi e investimenti. In un momento come questo, gli standard di tutela peggiorano. Basti pensare alla situazione del sistema penitenziario. Se diminuiscono le risorse, i luoghi ritenuti secondari dalla maggior parte della popolazione saranno i primi a risentirne. Quando si riducono spazi fisici in un carcere o l’assistenza sanitaria in un ospedale, è ovvio che ci sia una decadenza dei diritti umani.

Nel Rapporto sui diritti globali, l’Italia è agli ultimi posti, prima di Grecia e Bulgaria, per quanto riguarda l’impatto positivo delle politiche sociali e contro la povertà.

L’Italia è tradizionalmente carente nelle politiche contro la povertà. Un limite classico del nostro sistema di welfare.

Nel codice penale c’è un grande assente: il reato di tortura. Da vent’anni le istituzioni internazionali premono affinché la tortura sia riconosciuta reato. Perché c’è questa resistenza da parte del sistema legislativo?

In Italia c’è una tradizionale sudditanza della classe politica nei confronti degli apparati dello Stato che vengono considerati come un blocco omogeneo da non mettere in crisi. Io credo che vadano messi in crisi per consentire che al loro interno si affermino i principi di democrazia, la consapevolezza dei diritti del cittadino e la capacità di affermare le garanzie individuali. Per esempio, quella che era la compattezza dei sindacati di polizia, non è stata messa in crisi dalle istituzioni, ma dalla madre di Federico Aldrovandi che attraverso le sue parole e i suoi gesti ha fatto emergere quelle componenti della polizia di Stato che si ispirano a valori tradizionali e quelli che invece hanno una concezione autoritaria del proprio ruolo. La politica ha paura che questo conflitto salutare all’interno delle forze dell’ordine si sviluppi e pensa che introdurre il reato di tortura possa produrre effetti controproducenti, mentre ritengo che il reato di tortura protegga e tuteli i poliziotti sanzionando i pubblici ufficiali che ricorrono a trattamenti degradanti e inumani.

* Il Rapporto è a cura di Associazione Società Informazione Onlus, promosso da Cgil con la partecipazione di ActionAid , AntigoneArci, Cnca, Fondazione Basso-Sezione Internazionale, Forum Ambientalista, Gruppo AbeleLegambiente



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