La risposta si chiama « ammissione umanitaria »

La risposta si chiama « ammissione umanitaria »

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Ma è possibile fermare questa strage? C’è un metodo o un’idea, uno strumento o una strategia – qualora ce ne sia la volontà – che non consista nell’affidarsi al buon Dio o a un destino diventato improvvisamente propizio? Nel corso dell’ultimo quarto di secolo, il mare Mediterraneo è diventato una tomba d’acqua o, se si preferisce, un cimitero marino che accoglie ogni giorno i suoi morti.
Sono state, innanzitutto, le cifre crudeli di questa macabra contabilità, che ci hanno indotti a elaborare una proposta di « ammissione umanitaria ». Un piano, formulato nei mesi scorsi, all’indomani del naufragio del 3 ottobre a largo di Lampedusa. Oggi quel piano, già sottoposto ai rappresentanti del governo, alle più alte cariche istituzionali e alle principali organizzazioni internazionali, e che ha raccolto consensi e osservazioni, appare più che mai indifferibile. In estrema sintesi, si tratta di anticipare geograficamente, territorialmente, diplomaticamente, giuridicamente, nei Paesi della Costa settentrionale dell’Africa, il momento e la procedura di richiesta della protezione. E si deve cominciare a progettare tutto ciò da subito.
Altri trenta corpi si sono aggiunti al tragico computo dei morti nel canale di Sicilia, nonostante gli sforzi della nostra marina militare a cui dobbiamo la vita di oltre sessantamila migranti tratti in salvo grazie all’operazione «Mare Nostrum ». Un movimento inarrestabile, carico di dolore, che non cesserà con le misure che l’Ue ha adottato finora né con quanto la task force «Mediterraneo» si appresta a fare in materia di frontiere e di cooperazione giudiziaria e di polizia.
Occorre ampliare il raggio di intervento a livello europeo, alzare lo sguardo e realisticamente percorrere una strada comune che veda l’Europa protagonista di una politica d’asilo efficace, in grado di farsi carico di uomini, donne e bambini, in fuga da guerre e persecuzioni, offrendo loro un’opportunità di vita futura. Una soluzione duratura nell’ambito della gestione delle migrazioni e della politica di protezione dell’Unione europea nei confronti dei rifugiati.
Al centro di questa azione umanitaria, la necessità di garantire asilo e protezione dando ai profughi la possibilità di chiedere soccorso senza dover rischiare la vita attraversando il Mediterraneo. E senza l’intermediazione dei trafficanti di esseri umani. Un programma di reinsediamento nei paesi europei che garantisca viaggi legali e sicuri per poterli raggiungere, con il coinvolgimento di tutti gli Stati membri, stabilendo quote di accoglienza per ciascuno stato.
Si tratta, dunque, di istituire centri e strutture nei paesi della sponda sud del Mediterraneo (Giordania, Libano, Tunisia, Egitto, Algeria, Marocco), da cui partono o dove transitano o si addensano i movimenti migratori verso l’Europa. Il primo passo è la realizzazione di presidi internazionali in quei paesi per l’avvio della procedura di concessione di protezione, presidi da istituire sulla scorta di quelli delle organizzazioni umanitarie internazionali che accolgono i profughi lì presenti. I presidi andrebbero realizzati dalla stessa Ue, d’intesa con le organizzazioni umanitarie internazionali, attraverso ambasciate e consolati dei singoli stati o la rete del Servizio europeo per l’azione esterna. Le necessarie intese con i Paesi interessati potrebbero rientrare nella cooperazione Ue sul modello dei partenariati per la mobilità, già conclusi con Marocco e Tunisia.
Questa proposta vuole essere una traccia, delineata guardando ad esperienze già esistenti – si pensi alla Germania che ha aderito a un programma di resettlement (re-insediamento) dell’Unhcr accogliendo migliaia di siriani – e la sua articolazione può essere differente ricorrendo a strumenti giuridici e procedure di altra natura. E proprio perché è forte la consapevolezza delle difficoltà di rendere concreto un piano europeo di ammissione umanitaria. Ma è una traccia che va assolutamente segnata e ulteriormente definita.
Le statistiche pubblicate da Eurostat nei giorni scorsi riguardanti i rifugiati accolti in re-insediamenti nella Ue nel 2013 parlano chiaro: sono in tutto 4.840 i profughi siriani inseriti nei paesi europei. A queste cifre ridottissime vanno accostati i 2,5 milioni di profughi rifugiati all’estero che l’Unhcr stima siano la conseguenza della guerra in Siria.
Ora tocca all’Italia e al nostro governo, fare in modo che la volontà politica degli Stati europei si indirizzi verso scenari nuovi, scelte consapevoli e condivise, lungimiranti e coraggiose. Nessun piano sarà efficace se non si parte dalla necessità di porre fine alla politica degli ultimi anni che ha causato solo morte, incapace di guardare a quanto avviene al di là del Mediterraneo.


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