Armare i kurdi? Non è irragionevole

Armare i kurdi? Non è irragionevole

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Gli espo­nenti del M5S sem­brano pos­se­dere un talento, quasi innato, nel ridurre a scioc­chezza anche il più serio dei pro­blemi. La vec­chia reto­rica del “pane al pane e vino al vino” fini­sce col sacri­fi­care la chia­rezza a quella bana­lità rozza e scur­rile che spiana la strada alla peg­gior pro­pa­ganda “occi­den­ta­li­sta”, e all’interessata incom­pren­sione delle scelte poli­ti­che e stra­te­gi­che che hanno con­dotto il Vicino Oriente all’attuale disastro.

Eppure, qual­che ele­mento abba­stanza chiaro poteva essere messo in campo per comin­ciare a ragio­nare con la testa.
Se gli stra­te­ghi ame­ri­cani aves­sero capito per tempo che la guerra fredda era vinta, anche senza ali­men­tare l’estremismo isla­mico con­tro i nazio­na­li­smi post­co­lo­niali, tutti ne avremmo avuto molto da gua­da­gnare, e gli Stati uniti per primi. Oggi non c’è ana­li­sta geo­po­li­tico né sto­rico di una qual­che serietà che non ammetta che l’espansione dell’islamismo poli­tico e delle sue espres­sioni mili­tari sia avve­nuta in quel con­te­sto e abbia com­por­tato con­se­guenze disa­strose. Cosa vi era di meglio della reli­gione, del suo ordine gerar­chico, della sua presa e del suo radi­ca­mento nel pre­giu­di­zio popo­lare per con­tra­stare i senza dio blan­diti e mani­po­lati dal Crem­lino? E, in fondo in fondo, magari incon­sa­pe­vol­mente, la destra Usa apprez­zava più il rigore morale delle reli­gioni che non l’anarchia dell’ateismo.
In qual­che caso il “lai­ci­smo” con­ver­tito, come quello di Sad­dam, poteva tor­nare utile con­tro il corso anti­oc­ci­den­tale preso dalla rivo­lu­zione ira­niana, ma intanto in Afgha­ni­stan sta­zio­nava l’armata rossa.

Chi si sarebbe inca­ri­cato di farla slog­giare? E di minare dall’interno i regimi socia­li­steg­gianti appog­giati dall’Unione sovie­tica? Certo, non sareb­bero bastati i soldi, le armi, gli adde­stra­menti ame­ri­cani e sau­diti a spo­de­starli se la sto­ria dei nazio­na­li­smi post­co­lo­niali non avesse preso una piega buro­cra­tica, auto­ri­ta­ria, pro­fon­da­mente cor­rotta, men­tre l’Urss, infi­schian­do­sene alta­mente del “socia­li­smo” afri­cano, arabo o asia­tico che fosse, per­se­guiva una pura e sem­plice poli­tica di potenza nean­che troppo gene­rosa verso i suoi pro­tetti. Quei regimi, a dir poco dif­fi­cil­mente con­ver­ti­bili alla demo­cra­zia, pote­vano comun­que essere com­prati, ma biso­gnava prima sba­raz­zarsi dell’influenza sovie­tica e delle classi diri­genti troppo ideo­lo­giz­zate. E dun­que pun­tare sulle forze della tra­di­zione con­tro quelle che sven­to­la­vano, ormai più reto­ri­ca­mente che altro, le ban­diere del progresso.

Se vogliamo sem­pli­fi­care all’estremo pres­sa­poco la sto­ria è que­sta. E non sono solo i più incal­liti “anti­a­me­ri­cani” a soste­nerlo. Ma il gioco a distanza non sem­pre fun­ziona, men che meno nel mondo glo­ba­liz­zato. La “viet­na­miz­za­zione” del Medio oriente si è pre­sto tra­sfor­mata in un caos incon­trol­la­bile. Cosic­ché, ripe­tu­ta­mente, gli Stati uniti si sono dovuti impe­la­gare in un inter­vento diretto. Senza riu­scire a venire a capo del pro­cesso che ave­vano messo in moto. La parte dei senza dio e l’ostilità asso­luta che le viene indi­riz­zata, toc­cava ora a loro e ai loro alleati occi­den­tali. Che poi, le bombe, Abu Gra­hib e Guan­ta­namo doves­sero poten­te­mente ali­men­tare la spi­rale dell’odio è una sto­ria che viene dopo, a par­tita ini­ziata da un pezzo nel risiko impaz­zito alle­stito dalle ammi­ni­stra­zioni ame­ri­cane. Un gioco che la con­cen­tra­zione delle risorse ener­ge­ti­che in quell’area impe­diva di abban­do­nare, anche dopo il tra­monto dell’Urss che però non aveva can­cel­lato del tutto la potenza russa.
Ci voleva poi tanto a met­tere insieme que­sti pochi pas­saggi invece di sbrai­tare facen­dosi tirare le orec­chie per­fino dai somari geo­po­li­tici dell’area di governo?

Non­di­meno il pro­blema, una volta sta­bi­lita la respon­sa­bi­lità dell’ “impe­ria­li­smo nor­da­me­ri­cano”, sus­si­ste e si aggrava ogni giorno di più. Il dot­tor Frank­en­stein, come narra il rac­conto, avrebbe inse­guito la sua mostruosa crea­tura fino al Polo nord per distrug­gerla. E sul fatto che il “calif­fato” di Al-Baghdadi debba essere scon­fitto anche sul piano bel­lico con­ver­rebbe con­cor­dare, essendo qual­siasi forma di diplo­ma­zia fuori gioco di fronte a una entità politico-militare costi­tu­ti­va­mente votata all’espansione illi­mi­tata e all’inimicizia asso­luta. Il pro­blema è sta­bi­lire come. Pos­si­bil­mente non nello stesso modo cinico e irre­spon­sa­bile con cui sono state costruite le pre­messe della sua insor­genza e del suo suc­cesso. Ma nean­che con i tempi di quella peda­go­gia demo­cra­tica che da tempo val meno di una burla.

La situa­zione è imba­raz­zante. L’Occidente si trova a dover ricor­rere a quanti fino a ieri figu­ra­vano tra le peg­giori cana­glie, il siriano Assad o l’Iran quasi ato­mico degli aya­tol­lah per far fronte all’ultimissimo “nemico pub­blico n 1?. Il risiko con­ti­nua e tira in ballo i kurdi, che cer­ta­mente navi­gano su un mare di petro­lio e bri­gano per la pro­pria indi­pen­denza, ma sono pur sem­pre in prima linea e si sono fatti le ossa con­tro una lunga sto­ria di oppres­sione che li pre­serva da incom­benti rischi di oscu­ran­ti­smo, ren­den­doli inter­lo­cu­tori non solo dell’Occidente ma, forse, anche di una più gene­rale e con­di­visa razio­na­lità politica.

Tut­ta­via, se non si vuole rica­dere in una stra­te­gia che com­batte la fero­cia con altra fero­cia con­verrà abban­do­nare per i seguaci e le mili­zie del calif­fato l’abusata cate­go­ria di “ter­ro­ri­smo”. Quella sulla base della quale tutti i regimi dit­ta­to­riali, come la Siria di Assad, l’Iran o l’Egitto dei gene­rali, per­se­gui­tano e mas­sa­crano i pro­pri oppo­si­tori e l’Occidente si sot­trae alle stesse regole e ai limiti di legit­ti­mità che pure si è dato. L’Isis, aldilà dai metodi ter­ro­ri­fici che impiega, non ha nulla in comune con una for­ma­zione ter­ro­ri­stica. Si tratta di uno stato, o embrione di stato, che dispone di un governo e di un eser­cito ben orga­niz­zato, che con­trolla un ter­ri­to­rio e che l’attuale fase espan­siva pre­serva, almeno per il momento, da con­flitti e con­trad­di­zioni interne, eser­ci­tando una for­mi­da­bile attrat­tiva sulla grande massa dei “per­denti”. Un embrione di stato che dispone di rela­zioni inter­na­zio­nali e alleanze, a comin­ciare dalle petro­mo­nar­chie del golfo, il cui tor­bido ruolo è cir­con­dato, come del resto le poli­ti­che asso­lu­ti­sti­che che le gover­nano, dal più asso­luto silen­zio degli Stati uniti. Un’entità quale il calif­fato di Al-Baghdadi non può che essere oggetto di una guerra con­ven­zio­nale, nel rispetto di quello ius in bello, che l’ideologia e la pra­tica dell’ “anti­ter­ro­ri­smo” hanno invece di fatto accan­to­nato. Piac­cia o non piac­cia, la guerra è in pieno svol­gi­mento ed è con que­sto che biso­gna con­fron­tarsi, senza cul­larsi nella spe­ranza di ini­zia­tive diplo­ma­ti­che del tutto al di fuori dall’orizzonte pre­sente. Senza per­dere però la con­sa­pe­vo­lezza che l’intervento dell’Occidente in quell’area non ha pro­dotto fino ad oggi che una esca­la­tion della vio­lenza e una desta­bi­liz­za­zione senza rime­dio. Armi ai curdi? Fin­ché le potenze sun­nite del Golfo con­ti­nue­ranno ad armare l’Isis forse è un’opzione non irra­gio­ne­vole. Altri­menti gli Usa dovreb­bero costrin­gere, con le buone o con le cat­tive, i sau­diti e gli emiri a tagliare quel canale di rifor­ni­mento. In fondo il dot­tor Frank­en­stein ce lo dovrebbe que­sto tar­divo atto di riparazione.


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