Berlino, grattacieli e case di lusso. Le ruspe minacciano Cuvry

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Piove su cumuli di rifiuti e lamiere delle barac­che, ma Ste­phan non sem­bra farci caso «dovre­ste vedere in inverno!» com­menta, men­tre fuma un moz­zi­cone di siga­retta seduto sulla car­cassa di una lava­trice.
Non lo si direbbe, ma siamo nella «ricca» Ger­ma­nia, che ogni giorno si sco­pre meno ricca. A Ber­lino. E Ste­phan, nato nella capi­tale tede­sca, vive da quasi due anni, insieme ad altre due­cento per­sone, tra la Cuvry­strasse e la Schle­si­sche­strasse nella cosid­detta Cuvry­bra­che, una barac­co­poli grande quanto un campo di cal­cio som­mersa da rifiuti e abi­ta­zioni di for­tuna, infe­stata dai ratti, senza elet­tri­cità né acqua corrente.

L’esistenza stessa della Cuvry, una vera e pro­pria favela a pochi chi­lo­me­tri dal cen­tro, rap­pre­senta una strana ano­ma­lia per la capi­tale dell’«economia trai­nante» della Ue, «qual­cosa a cui l’Europa si deve ancora abi­tuare» come ha scritto Nik Afa­na­sjewxy sul Tages­spie­gel. Qui con­vi­vono arti­sti e sen­za­tetto in un insieme biz­zarro di ini­zia­tive arti­sti­che e soli­dali, epi­sodi di cri­mi­na­lità e disa­gio sociale.

Sasha il leg­gen­da­rio fon­da­tore, inse­dia­tosi nella zona nei primi anni Due­mila, vive tutt’ora su una zat­tera gal­leg­giante sulla Sprea, fa parte dello zoc­colo duro dei primi occu­panti: immi­grati del vicino est, disoc­cu­pati tede­schi e fami­glie rom.

Nell’area su cui sorge la Cuvry, a ridosso del muro, a par­tire dagli anni 90 si sono suc­ce­duti diversi pro­getti spe­cu­la­tivi in seguito abban­do­nati, sotto la spinta incal­zante della Media­spree. La potente società immo­bi­liare avrebbe un colos­sale piano di inve­sti­menti inter­na­zio­nali e vor­rebbe fare di tutta l’area a ridosso della Sprea una gigan­te­sca val­ley di grat­ta­cieli azien­dali, hotel e cen­tri com­mer­ciali. Ma il pro­getto incon­tra l’assoluta oppo­si­zioni dei resi­denti anche dei limi­trofi quar­tieri di Trep­tow e Frie­dri­ch­shain che temono l’aumento indi­scri­mi­nato degli affitti nella zona.
Già nel 2012 que­sto con­teso angolo di Kreuz­berg doveva rien­trare in un piano finan­ziato dal museo Gug­ge­n­heim di New York e dalla Bmw che pro­spet­tava la costru­zione di un’area labo­ra­to­rio per pro­getti arti­stici urbani. Ma a seguito delle pro­te­ste paci­fi­che dei resi­denti, il pro­getto è stato spo­stato altrove. È da allora, con i sit-in dei mani­fe­stanti, che si sono creati i primi inse­dia­menti dell’attuale barac­co­poli al grido di Free Cuvry.

La sto­ria della Cuvry attira cen­ti­naia di turi­sti che ogni giorno si affac­ciano tra i cumuli di rifiuti per una foto ricordo del pre­zioso affac­cio sul fiume Sprea o dei gigan­te­schi graf­fiti di Blu, uno tra gli esempi più cele­bri della street art ber­li­nese. L’opera dell’artista ita­liano, alta più di dieci metri, si estende lungo tutta la parete del palazzo con­fi­nante alla barac­co­poli e raf­fi­gura il busto di un uomo ele­gante, ai cui polsi splen­dono oro­logi d’oro legati insieme da una pesante catena.

Ste­phan sem­bra incar­nare lo spi­rito liber­ta­rio del suo micro­co­smo di lamiere. Osserva i turi­sti e sor­ride, ci tiene a farsi foto­gra­fare die­tro le sbarre di una gri­glia da cam­peg­gio che porta con sé. «Sapete cos’è que­sta?», chiede, «que­sta è una pri­gione, tutto intorno a Cuvry, i soldi, le auto­mo­bili, sono una libera pri­gione». I turi­sti orien­tali foto­gra­fano men­tre i bam­bini rom cam­mi­nano scalzi tra le lamiere e i ratti non sem­brano distur­bare nessuno.

Ma i tempi in cui la viva­cità delle azioni cul­tu­rali costi­tuiva il sim­bolo della Free Cuvry e la ren­deva un polo d’attrazione per la scena under­ground cit­ta­dina sono ormai lon­tani. L’area infatti, che ospita tut­tora una biblio­teca auto­ge­stita, un bar e una «spiag­gia», dove su divani di for­tuna si rac­col­gono gli occu­panti intorno al fuoco, non rie­sce più a con­te­nere le ondate di dispe­rati che si affol­lano sui pochi metri ancora dispo­ni­bili, esa­spe­rando le con­di­zioni igie­ni­che già pre­ca­rie dell’insediamento che tutt’ora è a grave rischio di incendio.

La spe­cu­la­zione edi­li­zia e i nume­rosi sgom­beri avve­nuti su ini­zia­tiva dell’amministrazione cit­ta­dina — che dal pros­simo dicem­bre non sarà più gui­data dall’attuale sin­daco social­de­mo­cra­tico Klaus Wowe­reit — hanno tra­sfor­mato gli spazi rima­sti in campi di bat­ta­glia per la soprav­vi­venza. Il caso più ecla­tante risale alla fine del 2013, quando l’irruzione della poli­zia nella fab­brica di gelati, da anni in totale stato di abban­dono, nella cen­tra­lis­sima Koe­per­nic­ke­strasse, costrinse in mezzo alla strada oltre trenta migranti bul­gari. Que­sto gruppo, in seguito tra­sfe­ri­tisi nella barac­co­poli di Cuvry­strasse, risie­deva paci­fi­ca­mente nel vec­chio sta­bi­li­mento indu­striale da oltre due anni.

Ora gli abi­tanti dell’ormai sovraf­fol­lato inse­dia­mento sanno che il loro angolo di mondo tra la Sprea e la Schle­si­sche strasse sta per scom­pa­rire. La ditta di monaco Nieto Gmbh, di pro­prietà dell’imprenditore Artur Süs­skind, asso­ciato al gruppo Media­spree, è pronta a costruire immo­bili di lusso con affac­cio sul fiume: è ini­ziato quindi un conto alla rove­scia per l’esiziale inter­vento della poli­zia che por­terà alla scom­parsa della libera Cuvry.

I com­mer­cianti già sem­brano gioire del futuro sgom­bero, imma­gi­nan­dosi bene­fi­ciari dei rapidi gua­da­gni pro­spet­tati dalla gen­tri­fi­ca­zione che ha tra­sfor­mato l’ex area popo­lare in uno tra i quar­tieri più amati dai turi­sti. La voce dei resi­denti invece si fa sen­tire. «Cuvry deve restare». «Sono nata a Ber­lino e la città deve rima­nere coe­rente con la sua voca­zione alla tol­le­ranza. Dove andremo a vivere quando i prezzi delle case sali­ranno alle stelle?», dice Verena, bari­sta di uno dei tanti locali che affol­lano le colo­ra­tis­sima strade della zona.

Nel frat­tempo nes­suno sem­bra accor­gersi, tra le tende e le barac­che, della cata­strofe immi­nente. Sul muro di fronte all’ingresso una scritta recita «home is where the heart is», casa è dove c’è il cuore. A poca distanza alcuni metri di filo spi­nato coro­nano que­sto mes­sag­gio, sepa­rando la Cuvry e i suoi abi­tanti dagli inqui­lini cir­co­spetti, seduti sui loro bal­coni con vista sul fiume.



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