Gaza, 13 uccisi dai raid aerei israeliani

Gaza, 13 uccisi dai raid aerei israeliani

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Quanto è lon­tano il Cairo da Gaza. E come appa­iono distanti alla popo­la­zione di Gaza gli appelli alla ripresa di col­lo­qui e nego­ziati sul ces­sate il fuoco lan­ciati ieri dalla capi­tale egi­ziana dal pre­si­dente dell’Anp Abu Mazen. La “guerra di attrito”, di “logo­ra­mento”, come la chia­mano da que­ste parti, comin­ciata mar­tedì scorso dopo il fal­li­mento della tre­gua, ha già fatto molte decine di morti tra i pale­sti­nesi: ieri altre due fami­glie sono state deci­mate da raid aerei israe­liani, Dah­rouij (5 morti) e Abu Dah­douh (4 morti), tra i quali un bimbo di 4 anni, Abdul­lah. In totale dall’8 luglio i morti pale­sti­nesi sono 2.105. L’altra sera è giunta anche la quarta vit­tima civile israe­liana, un bam­bino di quat­tro anni. L’obiettivo israe­liano è stato chia­rito e riba­dito ieri dal mini­stro della difesa Moshe Yaa­lon, che si è rivolto agli abi­tanti delle cit­ta­dine a ridosso di Gaza quasi vuote a causa dei lanci di razzi pale­sti­nesi (82 solo ieri). «Il fine – ha detto — è quello di por­tare Hamas al (pos­si­bile) tavolo delle trat­ta­tive al Cairo sulla base dei ter­mini che deci­derà Israele e di un ces­sate il fuoco (senza con­di­zioni) come chiede Geru­sa­lemme». E per rag­giun­gere que­sto risul­tato la pres­sione di Israele sulla popo­la­zione di Gaza sta cre­scendo con il pas­sare delle ore.

Non siamo ai livelli di bom­bar­da­mento di luglio, non è in corso una offen­siva di terra (ma potrebbe scat­tarne una nuova molto pre­sto), tut­ta­via le forze aeree israe­liane col­pi­scono ovun­que. Tal­volta con pre­av­viso, molte altre no. Lo sanno bene i Dah­rouij e gli Abu Dah­douh che non hanno avuto alcuna pos­si­bi­lità di met­tersi in salvo. E lo sanno le fami­glie che vive­vano dei 30 appar­ta­menti della Torre Zafer, nei pressi di Tel al Hawa (Gaza city): 13 piani ridotti ad un cumulo di mace­rie da due mis­sili ad alto poten­ziale che un F-16 israe­liano ha sgan­ciato ieri sera con­tro l’edificio. A quanto pare il nuovo ber­sa­glio dell’offensiva israe­liana è il capo­luogo di Gaza, o meglio le zone cen­trali ed occi­den­tali della città che hanno subito meno attac­chi a luglio rispetto ai quar­tieri orien­tali, come Shu­jayea e Zay­tun. Sulle aree occi­den­tali, quelle sul mare, ieri sono pio­vuti volan­tini sgan­ciati dai droni che avver­ti­vano la popo­la­zione a allon­ta­narsi subito dalle abi­ta­zioni civili adia­centi alle aree di lan­cio dei razzi di Hamas per­chè sareb­bero diven­tate obiet­tivo degli attac­chi aerei.

Anche la stra­te­gia di Hamas punta al logo­ra­mento di Israele, sui timori e la stan­chezza della sua popo­la­zione. Non tanto di quella parte che vive nella zona di Tel Aviv sog­getta ad attac­chi spo­ra­dici con lanci di razzi. Quanto di quella del sud di Israele che, a causa del con­flitto, si è tra­sfe­rita a casa di amici e parenti nel cen­tro del paese. Con­tro la stra­te­gia del movi­mento isla­mico però gioca la frat­tura che si è ria­perta tra Hamas e Fatah nelle ultime set­ti­mane. Già nei giorni scorsi era apparsa evi­dente al tavolo delle trat­ta­tive del Cairo, con i dele­gati di Fatah pronti ad accet­tare la pro­po­sta di ces­sate il fuoco egi­ziana e quelli di Hamas (e del Fronte popo­lare per la libe­ra­zione della Pale­stina) net­ta­mente con­trari. Abu Mazen vuole che una solu­zione nego­ziata per Gaza passi asso­lu­ta­mente per l’Egitto. Il movi­mento isla­mico al con­tra­rio è con­vinto che l’Egitto stia gio­cando con­tro le sue richie­ste e guarda al ruolo del Qatar (suo spon­sor) e della Tur­chia. Si è anche par­lato del fal­li­mento della tre­gua per l’accesa riva­lità tra il Qatar e l’Egitto, due attori prin­ci­pali sulla scena pale­sti­nese e medio­rien­tale, che guar­dano con occhi diversi al destino di Gaza.

Hamas è impe­gnato anche su di un fronte interno, quello della lotta ai col­la­bo­ra­zio­ni­sti veri e pre­sunti di Israele. Dopo le 18 per­sone messe a morte due giorni fa, ieri altri quat­tri pale­sti­nesi accu­sati dalla sicu­rezza di Hamas di lavo­rare per conto dell’intelligence israe­liana, sono stati fuci­lati nel cor­tile di una moschea a Jaba­liya. Un sito web vicino al movi­mento isla­mico ha rife­rito che i quat­tro sono stati giu­sti­ziati dopo il com­ple­ta­mento delle “pro­ce­dure legali”. Ese­cu­zioni con­dan­nate dall’Autorità Nazio­nale di Abu Mazen. «Quelle fuci­la­zioni sono ille­gali e al di fuori del sistema giu­ri­dico pale­sti­nese», ha detto il segre­ta­rio dell’ufficio di pre­si­denza dell’Anp, Tayyib Abd al Rahim, che poi ha accu­sato il movi­mento isla­mico di aver «represso la dissidenza…sono state ese­cu­zioni a san­gue freddo e in base solo alla legge di Hamas. Alcuni degli uccisi, ha detto, erano incar­ce­rati da oltre tre anni».

Il con­fronto mili­tare tra Israele e Hamas e le ten­sioni interne fanno vacil­lare la ricon­ci­lia­zione tra il movi­mento isla­mico e Fatah (il par­tito del pre­si­dente), rag­giunta a fine aprile dopo ben sette anni di divi­sioni lace­ranti. Allo stesso tempo Hamas e Fatah, hanno ritro­vato un po’ di coe­sione nazio­nale fir­mando la pro­po­sta di Abu Mazen per l’adesione dello Stato di Pale­stina alla Corte penale inter­na­zio­nale. In que­sto modo i lea­der pale­sti­nesi potranno per­se­guire legal­mente lo Stato di Israele per cri­mini di guerra.


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