Giustizia, il progetto del governo per allungare i tempi di prescrizione

Giustizia, il progetto del governo per allungare i tempi di prescrizione

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ROMA — Nella scaletta in dodici punti preparata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, è posizionata al nono posto: «Accelerazione del processo penale e riforma della prescrizione». Ma per importanza e delicatezza della materia trattata, non dovrebbe certo trattarsi di questione da mettere così in basso nella scala delle priorità. Anzi, per molti proprio la modifica delle norme sul tempo limite entro il quale bisogna arrivare a una sentenza definitiva per evitare l’estinzione del reato (e quindi di indagini, processi ed eventuali condanne intermedie) rappresenta il vero nodo da sciogliere. Le norme attuali furono modificate nel 2005, nell’ambito delle cosiddette leggi «ad personam» che accompagnarono i tentativi di allontanare o quantomeno ridurre la portata dei problemi giudiziari di Silvio Berlusconi; un loro riequilibrio, oggi, significherebbe riportare la questione entro dimensioni considerate più corrette, e per certi versi potrebbe aiutare anche ad accelerare i tempi della giustizia, perché vanificherebbe l’uso di strumenti dilatori nei processi spesso utilizzati proprio per raggiungere il traguardo della prescrizione.
A giorni sul sito internet del ministero di via Arenula dovrebbero comparire le «linee guida» della riforma orlandiana anche in relazione al punto 9; secondo indiscrezioni i contenuti riprenderanno le conclusioni della «commissione Fiorella», dal nome del professor Antonio Fiorella, ordinario di Diritto penale all’università La Sapienza, che ha guidato un gruppo di studio composto da giuristi, magistrati e avvocati insediato nel novembre 2012 dall’ex Guardasigilli Paola Severino. Le conclusioni raggiunte in quell’occasione proponevano una riforma abbastanza radicale dell’attuale legislazione, con due principali novità: il ritorno ai tempi della prescrizione graduati a seconda della gravità dei reati e la sospensione dei termini per periodo «limitati ma congrui» dopo le eventuali sentenze di condanna.
In pratica, secondo l’idea che dovrebbe essere ripresa dal ministro Orlando come base di discussione per la riforma, la prescrizione scatterà dopo cinque anni per i delitti puniti con la reclusione fino a cinque anni, sette quando la punibilità può arrivare fino a dieci anni di carcere, dieci per i delitti punibili fino a quindici anni di reclusione e quindici per quelli con pene più alte, fermo restando che per i reati che prevedono l’ergastolo resta la regola della imprescrittibilità.
Il problema principale, tuttavia, resta quello che la prescrizione decorre dal momento della commissione del reato, e per quelli che non vengono alla luce immediatamente (come ad esempio la corruzione, a volte scoperta a diversi anni di distanza dai fatti), resta poco tempo a disposizione per una procedura — inchiesta, rinvio a giudizio e processi di primo e secondo grado, fino alla Cassazione — che richiedono tempi lunghi. Di qui l’altra novità contenuta nella relazione finale della commissione Fiorella: l’interruzione del calcolo della prescrizione nelle diverse fasi in cui si articola il procedimento penale, dalle indagini preliminari in poi. Verrebbe così concesso, anche nella «ipotesi limite» di un reato emerso poco prima della scadenza concessa per il giudizio finale, «un tempo compreso almeno tra i due e i tre anni per consentire la conclusione delle fasi preliminari e/o il compiuto svolgimento del primo grado di giudizio».
Successivamente, le sentenze che confermassero l’ipotesi accusatoria farebbero scattare altri periodi (limitati) di interruzione della prescrizione. E’ «l’architrave della riforma» proposta dalla commissione, che tiene conto dei tempi medi di definizione dei giudizi nei diversi gradi. L’ipotesi di cui si discuterà prevede infatti la «sospensione della prescrizione per non più di due anni dopo il deposito della sentenza di condanna di primo grado, e una successiva sospensione per non più di un anno dopo il deposito della sentenza di condanna in grado d’appello».
In sostanza, quando un giudice conferma l’esistenza del reato e della responsabilità dell’imputato, gli orologi della giustizia si fermano per concedere il tempo di celebrare il successivo grado di giudizio, verificando che la decisione presa in quello precedente sia corretta. I tempi «fisiologici» del processo resterebbero gli stessi, ma per l’accusa ci sarebbe la necessità di fare presto per evitare la scadenza della sospensione, mentre per le difese si tenta di rendere non più conveniente il ricorso a tecniche dilatorie nel tentativo di raggiungere la prescrizione anziché l’assoluzione nel merito.
Le proposte della commissione si dilungano in molti altri dettagli, e su alcuni punti offrono delle ipotesi alternative. Si tratterebbe comunque di innovazioni per certi versi rivoluzionarie, e se davvero diventeranno la base della proposta di riforma ministeriale c’è da prevedere che il dibattito non sarà semplice né indolore. Sono prevedibili reazioni contrarie dall’opposizione di Forza Italia, ma sarà interessante conoscere la posizione di quel pezzo di centro-destra che un tempo stava con Berlusconi e oggi fa parte della maggioranza di governo. Inoltre sono immaginabili resistenze da parte degli avvocati, che potrebbero cominciare a farsi sentire subito dopo la pubblicazione delle «linee guida».
Giovanni Bianconi



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