Iraq, la grande battaglia dell’acqua i caccia americani bombardano l’Is

Iraq, la grande battaglia dell’acqua i caccia americani bombardano l’Is

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I CURDI RICONQUISTANO LA DIGA DI MOSUL
TALSQUF (Kurdistan). DELLA battaglia rimane solo qualche veicolo militare accartocciato dallo schianto di un razzo statunitense. I cadaveri degli islamisti che vi erano a bordo sono già stati portati via.
SPALLEGGIATI dai caccia e dai droni di Washington, per i peshmerga è stata una passeggiata la riconquista della malconcia cittadina di Talsquf, sulla sponda orientale della più grande chiusa irachena, la diga di Mosul, ex diga Saddam, che i leader dello Stato islamico hanno più volte minacciato di far esplodere. «Con i loro guerriglieri abbiamo giocato d’astuzia: ci siamo ritirati da qui due giorni fa e loro, sicuri della nostra disfatta, sono entrati trionfanti con le jeep appena rubate nella base militare di Mosul. A spazzarli via, ci hanno pensato i caccia di Obama », racconta compiaciuto il giovane combattente curdo Alwand Balaki.
Ed eccolo il bacino della diga, un ampio lago azzurrognolo tra colline spelacchiate e riarse, che scopriamo a una decina di chilometri da Talsquf. Sembra gigantesco, tanto che non riesci a percepirne l’altra sponda. Ma nell’afa che rende tutto sfuocato neanche la sua vicinanza arreca un po’ di frescura. Le guide indicano che possa contenere 12 miliardi di metri cubi d’acqua. Se gli jihadisti avessero fatto saltare la chiusa con l’esplosivo, un’onda alta 20 metri avrebbe travolto Mosul assieme a tutti i villaggi della piana di Ninive. La piena del Tigri arriverebbe fino a Bagdad.
Per questo i peshmerga hanno accelerato i ritmi della loro controffensiva, per anticipare l’ordine, che già balena nella mente di qualche sceicco o del suo auto-proclamato califfo Abu Bakr al Baghdadi, di far crollare questa montagna d’acqua. Ieri, grazie ai raid americani, che spianano loro la strada verso facili vittorie, assieme a Talsquf i curdi hanno riconquistato altre due città a pochi chilometri da Mosul, Batnaah e Sharafiya. «Tra i miliziani uccisi abbiamo scoperto un turco, un saudita, tre siriani e cinque iracheni. Gli altri erano troppo carbonizzati per riconoscerne l’identità. Quanto al materiale distrutto dai caccia e dai droni si contano quattro vettori blindati, otto veicoli armati e due humvee», dice Alwand. «Siamo arrivati quasi in periferia di Mosul e da ora in poi dobbiamo procedere con grande cautela perché adesso che sono stati bombardati dagli americani gli jihadisti cambieranno tattica. E per prima cosa infarciranno le strade di mine e di ordigni esplosivi di ogni città perduta».
Da Erbil, capitale della provincia autonoma del Kurdistan iracheno, per raggiungere Talsquf si è costretti a passare da Duhok, allungando di duecento chilometri verso nord, altrimenti si finirebbe in bocca ai soldati del califfato. Prima di attraversare il fiume Khzer, tutto scorre con sorprendente normalità, tra sconfinati campi cerealicoli ormai bruciati da sole e una strada esageratamente trafficata di camion cisterna carichi di petrolio, diretti verso il confine turco. Ma appena attraversato il fiume, tutto cambia: il primo checkpoint è presidiato da peshmerga armati fino ai denti e con il volto coperto da un passamontagna nonostante il termometro indichi 46 gradi, mentre il paesaggio si fa più collinoso, trasformando le ubertose terre della piana di Ninive in una steppa desertica. Le sole macchine che incrociamo sono pick-up con la mitragliatrice montata sul cofano posteriore. Dice ancora Alwand: «Il 15 agosto da Erbil sono partiti i primi convogli carichi di armi americane per rifornire i peshmerga lungo la linea del fronte. Al momento, a noi sono arrivati mortai, fucili di precisione, lanciagranate portatili anticarro, razzi e munizioni. Con queste andremo lontano».
In Iraq lo Stato islamico ha già usato le dighe come armi con cui inondare vaste aeree del Paese, affogando ogni cosa. Lo ha fatto all’inizio dell’anno a Falluja, a ovest di Bagdad, allagando enormi territori prima di conquistarli. Ma Mosul è uno dei suoi principali avamposti, e la sua diga, costruita 50 chilometri a nord, è una straordinaria risorsa economica perché oltre a fornire energia elettrica serve anche a irrigare milioni di ettari di grano: distruggerla avrebbe significato far svanire il sogno di edificare quel califfato tra Iraq e Siria, voluto e unilateralmente sancito a fine giugno dal terrorista al Baghdadi.
Alwand controlla spesso gli sms che gli arrivano dal comando generale di Erbil. E quando può ce li traduce: «Secondo i peshmerga infiltrati a Mosul, alcuni leader dello Stato islamico, quali Abu Omar Ourani o Sahel El Jisani, stanno lasciando in queste ore la città. Hanno ricevuto l’ordine di radunarsi in un villaggio oltre il confine iracheno, per eventualmente rientrare a Raqqa, la loro roccaforte siriana. Non solo: è appena arrivata la notizia che gli islamisti si sono tutti spostati sulla sponda occidentale della diga e che noi ne abbiamo ripreso il controllo».
Dalla conquista jihadista, il 7 agosto scorso, Mosul è ormai una città spettrale, vuoi perché molti sono fuggiti nel vicinissimo Kurdistan, curdi e cristiani per primi, vuoi perché i sunniti che vi sono rimasti sono così terrorizzati dalla violenza del nuovo regime che se ne restano rintanati dentro le loro case. Secondo Alwand, da quando sono cominciati i raid americani, in città gli sceicchi non usano più i loro pick-up bianchi, ma preferiscono camuffarsi a bordo di normalissime automobili. «Cercano anche di mischiarsi tra la gente, ma gli stessi arabi chiudono loro le porte, e li incitano a lasciare la città. Sono certo che saranno gli stessi sunniti di Mosul, Tikrit e Falluja a partecipare attivamente alla distruzione dello Stato islamico e delle sue milizie», dice il giovane combattente.
In serata, dal Pentagono si apprende che ieri i caccia americani hanno condotto 14 nuovi raid vicino alla diga, che si aggiungono agli altri 9 lanciati sabato scorso. Il bollettino di guerra degli ultimi due giorni che descrive il numero di jihadisti uccisi e di veicoli distrutti lascia sperare al meglio. Ma i peshmerga sanno che la battaglia sarà lunga, e che se dovessero entrare a Mosul, sarebbe solo per qualche ora. Già accadde nel 2008, durante la terribile guerra interetnica che insanguinò l’Iraq. Dopo aver sconfitto le legioni qaediste, ed essere entrati vittoriosi a Mosul, ai combattenti curdi fu intimato da Bagdad di lasciare immediatamente la città. I peshmerga obbedirono. Chissà come si comporterebbero se dovessero riprenderla adesso. Lo chiediamo ad Alwand, che risponde: «Noi continuiamo la nostra avanzata. E sono certo che presto, forse nelle prossime ore, ci saranno delle buone notizie. Quanto a Mosul, anche se piena di pozzi di petrolio, non ci interessa. E lo sa perché? Perché non è curda».



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