L’ombrello americano

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NEW YORK. LARUSSIA ha deliberatamente violato la sovranità dell’Ucraina», accusa Obama dopo un colloquio d’emergenza con Merkel. «Vado in Europa a riaffermare l’impegno dell’America in difesa dei suoi alleati».

«VADO a concordare nuove azioni comuni». Il vertice Nato della settimana prossima — dice la Casa Bianca — è il più importante dai tempi della guerra fredda. Qui si tratta di guerra vera, invasione. Obama fa precedere il vertice Nato da una tappa simbolica in Estonia, al confine con la Russia. «Non lanceremo una guerra Usa-Russia», dice Obama, ma all’ordine del giorno c’è il riarmo dell’Occidente «per difendere gli altri membri della Nato» con nuove basi a Est (Polonia, Paesi baltici) e truppe atlantiche perfino negli ex neutrali Svezia e Finlandia. È un cambiamento di equilibri geostrategici quale non si vedeva dal 1989 alla caduta del Muro di Berlino.
Ieri è stato convocato in sessione d’emergenza il Consiglio di sicurezza dell’Onu di fronte alle notizie dall’Ucraina. Ma lì Vladimir Putin ha un seggio e un diritto di veto. Ormai nella logica dello scontro, muro contro muro come ai tempi della guerra fredda, è la Nato l’unico attore che può diventare decisivo? Il linguaggio di Washington si evolve rapidamente, si adatta ai tempi, il Dipartimento di Stato parla ormai di «offensiva russa in corso», e ai dinieghi ribatte un secco: «Mosca mente». La Casa Bianca affida al segretario generale uscente della Nato, il danese Anders Rasmussen, la missione più delicata della sua carriera. Nel summit in Galles deve superare le resistenze di Italia, Francia e Spagna, e raggiungere l’accordo sulle nuove basi Nato in Polonia e nei Paesi baltici. Sono questi paesi, i membri recenti dell’Alleanza, a chiederlo a gran voce come garanzia della loro protezioequidistante ne verso l’espansionismo neoimperiale di Putin. È essenziale per la loro sicurezza, il fatto che ci siano non solo delle simboliche bandiere Nato sui loro territori ma delle truppe venute dall’America, dall’Inghilterra, dalla Germania: affinché Putin sappia che se attacca scatenerà la reazione di tutta la Nato. È in gioco la stessa credibilità del Patto atlantico, di quell’articolo 5 che garantisce mutuo soccorso armato in difesa di un membro aggredito. Secondo i collaboratori di Obama, in queste ultime ore si è verificato uno spostamento della Germania. Angela Merkel è l’ago della bilancia, fin qui aveva tenuto una posizione
tra le “colombe” (Italia Francia Spagna) e l’asse Usa-Inghilterra-Paesi dell’est. La preoccupazione tedesca è che creare vere basi stabili della Nato contravviene a un impegno preso ai tempi di Boris Eltsin, cioè di una Russia assai meno minacciosa: per farle digerire l’allargamento della Nato, a Mosca fu promesso che la Nato non avrebbe avuto vere e proprie basi a Varsavia o Tallin, Riga o Vilnius. Ora però la Merkel si sarebbe convinta, secondo la Casa Bianca, che il pericolo Putin necessita di risposte ferme e credibili. Non più solo sanzioni economiche, ma un segnale di riarmo. Le basi non saranno chiamate “permanenti”, ma ci saranno truppe e armamenti “stazionati a rotazione per tutto il tempo necessario”. Del resto spingono in questa direzione perfino la Svezia e la Finlandia. I due ex neutrali accelerano i tempi per la loro associazione alla Nato con lo status di “nazioni ospitanti”, cioè interessate ad accogliere truppe atlantiche sui rispettivi territori. In futuro questo potrebbe perfino sfociare nella loro adesione piena. E’ il segnale di quanto siano acuti i timori in tutti i paesi “di frontiera”, che percepiscono in modo più pressante la minaccia russa. Naturalmente queste decisioni non offrono alcuna soluzione diretta al dramma dell’Ucraina. Verso l’Ucraina non vale il dovere di protezione dell’articolo 5 visto che non è un membro della Nato. Nel summit del Galles però saranno accelerati gli aiuti all’Ucraina, anche di tipo militare, per modernizzare le sue forze armate.
E chi pagherà il conto? L’altro tema scottante in agenda al vertice sarà il finanziamento del riarmo. Obama arriva con un carico da novanta di richieste ai partner europei. Il “guerriero riluttante” si trova qui in una posizione inedita, diversa da quella che ha in Siria o in Iraq. In Europa sono gli stessi alleati che invocano a gran voce la garanzia di protezione americana, proprio come nella guerra fredda. Ma lo sforzo economico per difendere l’Europa è minato da squilibri crescenti, perfino peggiorati rispetto ai tempi della guerra fredda. Sui 1.000 miliardi di dollari all’anno spesi collettivamente per la difesa dell’Europa, ormai il 70% ricade sul contribuente americano. I paesi europei hanno ridotto ulteriormente le proprie spese già modeste, tagliando altri 50 miliardi di dollari dall’inizio della crisi economica del 2008. Obama arriva in Europa con un messaggio: «Ciascuno deve fare la sua parte. Troppi paesi si sono impegnati a spendere il 2% del proprio Pil per la difesa, e hanno disatteso quell’impegno ». Tra i reprobi figura l’Italia. L’altra promessa non mantenuta, è quella di spendere almeno il 20% del budget militare nella modernizzazione delle armi e delle tecnologie; la gran parte dei membri europei invece dedica la quasi totalità agli stipendi del personale. Secondo la Casa Bianca queste incoerenze sono fin troppo chiare a Putin, lo hanno incoraggiato a compiere le prime due operazioni di conquista territoriale (Crimea e ora parte dell’Ucraina) dal 1945.


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