La lunga mediazione del “Leone d’Egitto” Così Al Sisi ha piegato i leader integralisti

by redazione | 27 Agosto 2014 7:44

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CINQUANTA. giorni dopo la più grave distruzione delle numerose guerre che Gaza ha subito, i leader islamisti nella Striscia sono usciti ieri dai loro bunker sotterranei, dai loro rifugi, per «celebrare la vittoria» in questo inutile conflitto che ha lasciato sul campo quasi 2.200 morti, 11 mila feriti, 200 mila senza casa e distruzioni immani nelle infrastrutture pubbliche. Questa “vittoria” che Hamas nella sua abituale riscrittura della Storia attribuisce alla sua resistenza, è invece dovuta all’opera decisa e continuativa del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, il peggior nemico del movimento islamista nella Striscia, il “vituperato” generale che non solo ha spodestato con un golpe largamente sostenuto dalla popolazione la Fratellanza musulmana dalla guida dell’Egitto lo scorso anno ma — con la sua linea di “tolleranza zero” sul contrabbando tra il Sinai e la Gaza — ha tagliato alla radice le fonti di finanziamento di Hamas che dal quel traffico guadagnava (in tasse) quasi 250 milioni di dollari al mese, larga parte dei quali usati per comprare armi e missili, soprattutto dalla Libia.
Armi che, generosamente vendute dalla Brigata di Misurata, traversavano i cinquecento chilometri di costa egiziana grazie a mille complicità per approdare a Rafah, pronte per passare nei tunnel sotto la sabbia e finire nei bunker di lancio degli artiglieri islamisti. Gli oltre quattromila razzi sparati da Hamas contro Israele in queste sette settimane di guerra hanno percorso tutti questa strada. Al Sisi da oltre un anno tiene in piedi una vasta operazione militare nel Sinai, con il silenzioso assenso di Israele,
contro i gruppi islamisti e jihadisti egiziani che infestano la penisola desertica e con i quali Hamas ha a lungo trescato e trafficato.
La proposta egiziana — accettata da tutti i leader integralisti della Striscia — in realtà è sempre stata la stessa da oltre un mese, una cessazione delle ostilità consolidata almeno per un mese, riapertura del valico di Rafah ma sotto il controllo delle forze dell’Anp del presidente Abu Mazen, allargamento della zona di pesca consentita da 3 a 6 miglia. Il presidente egiziano l’aveva spiegato chiaramente anche al nostro premier Matteo Renzi quando è passato per il Cairo lo scorso 8 agosto. Adesso queste condizioni che tre settimane fa erano state sdegnosamente respinte da Hamas, che bollava al Sisi come troppo “pechant” verso Israele al punto da chiamare sulla scena paesi considerati più “amici” dal movimento integralista come Qatar e Turchia ma avversari dell’Egitto, improvvisamente sono diventate una «vittoria». Sono scomparse però quelle richieste che Hamas giudicava essenziali come l’aeroporto, il nuovo porto, la libera circolazione attraverso i valichi di frontiera con Israele e Egitto. Di fatto Hamas e la Jihad islamica di Gaza hanno accettato le stesse identiche condizioni con le quali si concluse l’ultima guerra di Gaza, quella del novembre 2012: dal valico di Rafah e di Erez — quello con Israele — passeranno per ora solo aiuti umanitari umanitari e materiali per la ricostruzione Il “Leone d’Egitto” strappa così il suo primo successo diplomatico internazionale e sembra riportare il Cairo nel ruolo guida che ha sempre avuto nel mondo arabo, a dispetto dei nuovi paesi “emergenti” nell’area. L’intesa per Gaza è stata raggiunta grazie alla mediazione “indiretta” con il rivale Qatar — con il quale i rapporti dopo l’estromissione della Fratellanza musulmana dal potere sono estremamente tesi — che è stata portata avanti in questo caso dal presidente dell’Anp, Abu Mazen. Il leader palestinese è volato al Cairo sabato scorso, dopo la missione a Doha dove aveva incontrato l’emiro al-Thani e il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal. Ma è nella capitale egiziana che Abu Mazen ha messo a punto gli ultimi dettagli con al Sisi. Non c’è però solo Gaza in cima ai pensieri del Cairo, che guarda con preoccupazione gli sviluppi nella vicina Libia e sembra aver accolto i numerosi appelli della comunità internazionale, Italia in testa, a giocare un ruolo di primo piano. Il Leone d’Egitto potrebbe avviare presto altre importanti iniziative.

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