La mossa di Juncker più flessibili sul deficit per chi fa riforme vere

by redazione | 31 Agosto 2014 8:25

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BRUXELLES. LA SVOLTA è arrivata venerdì pomeriggio, quando nell’ufficio di Josè Manuel Barroso, al tredicesimo piano del quartier generale della Commissione europea, sono entrati Jean Claude Juncker, dal primo novembre suo successore alla guida dell’esecutivo comunitario, e l’attuale commissario agli Affari economici, il finlandese Jyrki Katainen. I tre si sono seduti al tavolo delle riunioni vicino all’enorme finestra che domina la capitale belga. Con loro hanno preso posto gli specialisti di conti pubblici che hanno preparato quello che in gergo si chiama option paper, un documento informale con diverse opzioni per mitigare l’austerità. Lo hanno messo sul tavolo e hanno iniziato una discussione durata diverse ore che probabilmente cambierà il futuro delle politiche economiche europee.
Sono anni che il fronte mediterraneo chiede di abbandonare il rigore su deficit e debito, necessario nel bel mezzo della tempesta finanziaria che ha investito l’Europa dopo il crollo di Lehman Brothers ma oggi ritenuto ormai controproducente. Nel secondo quadrimestre del 2014 l’eurozona non è cresciuta, Italia e Germania sono arretrate e la Francia è rimasta inchiodata a crescita zero. Il tutto con l’inflazione appena allo 0,3%, lontana dal target europeo del 2%, e capitali come Roma già in deflazione. Uno scenario ormai insostenibile, specialmente con il rigore ad oltranza. Ed è per questo che lo scorso giugno su spinta di Renzi e Hollande i leader europei avevano politicamente aperto alla flessibilità. Tanto che Juncker per ottenere la fiducia dell’Europarlamento ha fatto proprio questo impegno.
Così l’ex premier lussemburghese ha chiesto ai tecnici di Bruxelles di studiare subito un meccanismo per dare ossigeno alle capitali in difficoltà sul fronte economico, in modo da poterlo usare già a novembre quando la Commissione emetterà il proprio giudizio sulle Leggi di stabilità di tutti i paesi dell’eurozona. E l’Italia con le regole attuali pur tenendo il disavanzo sotto al 3% rischierebbe una bocciatura con conseguente procedura per deficit e debito il prossimo maggio. E c’è chi sta peggio, come la Francia, con un disavanzo del 4%, e altri
10 paesi, già in procedura per deficit eccessivo e con enormi difficoltà a rientrare nei parametri di Maastricht.
Per questo Renzi anche ieri mattina a Parigi insisteva: «Siamo a un passaggio chiave e difficile, non sto facendo una battaglia per l’Italia, ma per l’Europa. Serve flessibilità all’interno delle regole che già ci sono». Ed è esattamente quanto il pomeriggio precedente era stato concordato nell’ufficio di Barroso. Al termine della riunione con Juncker e Katainen sul foglietto preparato dai funzionari europei sono rimaste due ipotesi, che verranno approfondite nei prossimi giorni: cambiare i regolamenti europei, ma non il Patto di Stabilità, dimezzando l’obbligo imposto ai governi di tagliare il deficit strutturale dello 0,5% all’anno. Con obbligo dello 0,25%, ad esempio, l’Italia risparmierebbe 4-5 miliardi. La seconda opzione appare ancora più interessante: congelare qualsiasi obbligo di risanamento per uno o due anni per quei paesi che si impegnano su un serio piano di riforme strutturali monitorato da Bruxelles. In questo caso il jackpot sarebbe doppio, una decina di miliardi da liberare per investimenti e riforme. E questa regola varrebbe tanto per i paesi con il deficit sopra al 3%, come Francia, Spagna e Regno Unito, quanto per i paesi come l’Italia che rispettano il parametro di Maastricht ma che soffrono una condizione di squilibri macroecnomici tali da limitare i margini di manovra in caso di prosecuzione di risanamento “cieco”.
Da Palazzo Chigi, rimarcando che non si tratta di una trattativa tra Italia ed Europa, confermano che il lavoro di Juncker «è molto positivo». E si aspetta che maturi ulteriormente per tirare le somme. E’ possibile che sbarchi già all’Ecofin informale del 13 settembre a Milano e al vertice straordinario convocato da Renzi per il 7 ottobre, forse proprio a Firenze. Idea, quella italiana di organizzare un summit per l’economia, che ieri ha trovato il via libera dei leader europei: «La situazione economica e del lavoro preoccupa — hanno scritto nelle conclusioni
del summit — bene l’intenzione dell’Italia di tenere una conferenza su occupazione, investimenti e crescita». Un vertice che Renzi vuole usare per dare una forte spinta politica agli investimenti, l’altra gamba insieme alla flessibilità giudicata in grado di rilanciare la crescita con Juncker che ha già promesso all’Europarlamento un piano da 300 miliardi.
Intanto resta aperta la battaglia tra Parigi e Berlino su chi si aggiudicherà la fondamentale poltrona di commissario agli Affari Economici nella squadra di Juncker. Hollande e Renzi vogliono che venga assegnata a Pierre Moscovici, giudicato l’uomo giusto per evitare che la svolta europea alla fine venga annacquata. Ma l’ex ministro francese — ieri lodato da Renzi nel prevertice del Pse a Parigi («su di lui ho un’ottima opinione») — è insidiato dall’olandese Dijsselbloem, anche lui socialista ma più ortodosso sulla disciplina di bilancio. Una battaglia ancora aperta che ieri non ha guastato la festa di Renzi quando i leader hanno nominato la Mogherini. Baci e abbracci tra il premier e il suo ministro degli Esteri, appoggiato da tutti tranne dalla lituana Grybauskaite, l’unica ad astenersi al momento del voto.

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