Obama: Fermeremo il califfato di Erbil

by redazione | 10 Agosto 2014 11:33

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I raid degli Stati uniti con­tro l’Iraq non si fer­mano. Se lo stato ira­cheno non è riu­scito a far fronte all’avanzata dei jiha­di­sti, ci pensa ora il pre­si­dente Usa Barack Obama, rispol­ve­rando la «guerra al ter­ro­ri­smo», inven­tata da George Bush jr. Dopo i disa­strosi attac­chi del 2003 che hanno dila­niato il paese, e il tri­ba­li­smo di stato che ha ripro­dotto la tra­di­zio­nale cor­ru­zione delle isti­tu­zioni ira­chene, Washing­ton si sosti­tui­sce allo stato «fal­lito» per annien­tare gli isla­mi­sti radi­cali che hanno con­qui­stato con una velo­cità sor­pren­dente il Nord dell’Iraq.

Obama, in un’intervista al New York Times, ha spie­gato che è stato lo spet­tro «del calif­fato» (sul modello di Ben­gasi) a spin­gerlo ad auto­riz­zare i raid sul Nord dell’Iraq. «Non per­met­te­remo loro di creare un calif­fato tra Siria e Iraq», ha riba­dito. «Ma pos­siamo farlo solo se abbiamo alleati sul campo capaci di riem­pire il vuoto», ha pro­se­guito. I lea­der poli­tici ira­cheni sono stati fin qui inca­paci di for­mare un governo di coa­li­zione, dopo le ele­zioni anti­ci­pate di pri­ma­vera. La pre­si­denza della Repub­blica è stata asse­gnata invece al kurdo Fuad Mas­sum, nel luglio scorso, dal par­la­mento inse­dia­tosi dopo la crisi poli­tica inne­scata dai jiha­di­sti dell’Isil (Stato isla­mico dell’Iraq e del Levante) e il soste­gno a loro assi­cu­rato dai gene­rali sun­niti vicini al vec­chio regime di Sad­dam Hussein.

Obama ha però riba­dito di non voler essere tra­sci­nato «in una nuova guerra in Iraq». «Le truppe da com­bat­ti­mento ame­ri­cane non tor­ne­ranno in Iraq per­ché non c’è una solu­zione mili­tare ame­ri­cana alla crisi», ha detto il pre­si­dente Usa. Obama ha dimen­ti­cato la pro­messa, dimo­stra­tasi incon­si­stente, di lasciare nelle mani degli ira­cheni la sicu­rezza del paese. Per que­sto, nono­stante la difesa a spada tratta degli attac­chi da parte di governi e mini­steri degli Esteri euro­pei (inclusi il pre­mier inglese David Came­ron e il pre­si­dente fran­cese Fra­nçois Hol­lande), i bom­bar­da­menti di que­ste ore sono in sé un fal­li­mento delle guerre degli Stati uniti nel paese e del disa­stroso ten­ta­tivo di tran­si­zione demo­cra­tica, impo­sto dall’alto in Iraq. Pro­prio le guerre del Golfo (1990–91 e 2003) hanno for­giato ed ali­men­tato infatti le divi­sioni tra sun­niti e sciiti che ora spac­cano il paese.

Non solo, seb­bene gli attac­chi dell’aviazione Usa, al via lo scorso venerdì, andranno avanti sine die, non saranno inviate invece truppe di terra. Per que­sto, in un video i jiha­di­sti — che pro­se­guono la loro avan­zata verso Bagh­dad — hanno sfi­dato gli Usa ad inviare sol­dati al posto dei droni. In par­ti­co­lare, il por­ta­voce dell’Isil, Abu Mosa ha dato agli ame­ri­cani dei «codardi». «Non siate vigliac­chi, attac­can­doci con i droni. Man­date i vostri sol­dati, quelli che abbiamo umi­liato in Iraq», ha dichia­rato l’islamista radicale.

A pre­oc­cu­pare la Casa bianca è in par­ti­co­lare la cri­tica situa­zione del capo­luogo kurdo di Erbil. A soste­gno dei kurdi ira­cheni, minac­ciati dall’avanzata dell’Isil, che ave­vano con­qui­stato la stra­te­gica diga di Mosul, era inter­ve­nuta la scorsa set­ti­mana l’aviazione di Bagh­dad. «In Iraq i kurdi, per set­ti­mane, sono stati capaci di pro­teg­gere le città set­ten­trio­nali dove sono la mag­gio­ranza della popo­la­zione», ha spie­gato al mani­fe­sto Har­riet All­sopp, docente dell’Università di Lon­dra (Bir­k­beck). «Tut­ta­via, fin qui l’accordo con al-Maliki (pre­mier sciita, ndr) non è ser­vito per fron­teg­giare l’avanzata jiha­di­sta. Eppure i kurdi ira­cheni temono che l’attuale crisi non fini­sca e che lo scon­tro tra sun­niti e sciiti possa dege­ne­rare. Per que­sto sono pronti a sforzi ulte­riori per man­te­nere in sicu­rezza la regione kurda. Sono ora pronti per l’indipendenza, soprat­tutto eco­no­mica, e devono fron­teg­giare la pos­si­bi­lità di dover con­trol­lare que­sta regione senza un governo a Bagh­dad. Per esem­pio sono capaci di con­ti­nuare ad espor­tare petro­lio auto­no­ma­mente», ha aggiunto Allsopp.

L’esportazione di petro­lio dal Kur­di­stan ira­cheno non ha subito danni appa­renti dall’avanzata jiha­di­sta e i kurdi hanno assi­cu­rato con­ti­nuità alle atti­vità di estra­zione di petro­lio nella regione. Sono cen­ti­naia poi i civili kurdi che hanno deciso di unirsi ai com­bat­tenti kurdi pesh­merga per difen­dere le pro­prie terre dall’avanzata jiha­di­sta. Molti dei volon­tari sono però disar­mati e ope­rano come medici per curare i feriti o per por­tare cibo, acqua e muni­zioni ai com­bat­tenti. «In realtà, il governo sciita di al-Maliki ha sem­pre mar­gi­na­liz­zato le aree kurde e sun­nite. Con l’attacco a Kir­kuk, della scorsa pri­ma­vera, gli sciiti hanno chie­sto ai kurdi di met­tere in sicu­rezza i gia­ci­menti di petro­lio di Kir­kuk. I kurdi lo hanno fatto ma potreb­bero non lasciarli. L’obiettivo è sem­pre la difesa della regione kurda prima che la coop­ta­zione dei kurdi nell’esercito ira­cheno rego­lare», ha con­cluso Allsopp.

Anche la Royal Air Force bri­tan­nica ha inviato un aereo mili­tare con aiuti uma­ni­tari in Iraq. Tra i desti­na­tari degli aiuti ci sareb­bero in par­ti­co­lare i pro­fu­ghi yazidi, rifu­gia­tisi sulle mon­ta­gne attorno a Sin­jar, per sfug­gire ai mili­ziani isla­mi­sti dell’Isil. Sono 200mila gli ira­cheni, inclusi migliaia di cri­stiani, che hanno lasciato il paese dall’inizio dell’avanzata jihadista.

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