Quel quartetto radicale seguace di Piketty

Quel quartetto radicale seguace di Piketty

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PARIGI — Il presidente e Arnaud Montebourg non si sono mai amati molto. «L’unico difetto di Ségolène? Il suo compagno», disse in tv a proposito di Hollande l’allora responsabile della campagna elettorale di Royal, nel 2007. Montebourg protestava contro lo scarso appoggio fornito alla candidata socialista dal partito e dal suo segretario, François Hollande, distratto dalla relazione nascente con Valérie Trierweiler. Ma oltre a quell’intreccio politico-sentimentale, a dividere i due sono sempre state le convinzioni.

Già nel referendum del 2005 sul Trattato per la Costituzione europea, Montebourg scelse il campo opposto a Hollande, militando per il «no» quando il segretario del partito invitava a votare sì. Anche Laurent Fabius si schierò allora contro il progetto redatto da Valérie Giscard d’Estaing, ma in seguito ha saputo riallinearsi diventando un pilastro della presidenza Hollande, un ministro degli Esteri che aiuta il capo di Stato a cogliere gli unici rari successi — in politica internazionale — e ne condivide gli orientamenti economici. Il 51enne Montebourg no, è rimasto fedele alla sinistra del partito socialista e alle idee già espresse durante le primarie del 2011, perse con onore: no alla globalizzazione, no al liberismo, no all’Europa della tecnocrazia, sì al protezionismo e alle nazionalizzazioni. «L’Europa è obsoleta», ha detto ancora di recente, giocando come sempre a fare la voce fuori dal coro.
A Montebourg vengono riconosciuti prestanza, modi e gusto per la battuta di un attore. Dopo la vittoria del 2012 Hollande lo ha sempre voluto nei governi in omaggio al vecchio motto di Mitterrand — «nessun nemico a sinistra» — provando a farselo amico e a trarre vantaggio dalla sua indubbia popolarità, ma lui lo ha ripagato con le solite uscite da guastafeste, come quando ha detto al premier Jean-Marc Ayrault «governi la Francia come il Consiglio municipale di Nantes». Montebourg, paladino del «Made in France» e della tutela dell’industria, era in collera con il primo ministro ex sindaco di Nantes perché si rifiutò di nazionalizzare le acciaierie di Florange, cavallo di battaglia di un’altra collega del governo dimissionario, Aurélie Filippetti.
Gli altiforni spenti restano una ferita aperta, ricordata anche nella lettera di ieri di Filippetti a Hollande e Valls: «La mia lealtà è stata e resta senza macchia, anche quando ho dovuto affrontare la chiusura di Florange, dopo che per cinque anni mi ero battuta da deputata sotto Sarkozy contro la rinuncia della politica di fronte a Mittal (il proprietario indiano, ndr )».
Di fronte a un premier Valls che ammette «la sinistra rischia di morire» davanti all’avanzata del Front National di Marine Le Pen, il quartetto Montebourg-Hamon-Filippetti-Taubira negli ultimi mesi ha risposto aggrappandosi ai fondamentali della gauche , reintroducendo nel dibattito politico termini quasi scomparsi come «classi popolari» o «lotta contro le disuguaglianze», sull’onda di quel che l’economista Thomas Piketty ha scritto nel volume più amato dalla sinistra americana, «Il capitale nel XXI secolo».
La battaglia di Montebourg e dei suoi amici è sembrata spesso di retroguardia, come quando il ministro ha sostenuto ed elogiato il semiserio esperimento autarchico di Benjamin Carle, il giornalista che ha provato a vivere per quasi un anno consumando esclusivamente prodotti francesi. Vestito con la maglietta a righe bianche e blu da marinaio bretone, Montebourg ha dato fastidio al governo fino a farlo cadere. E non finisce certo qui.

Stefano Montefiori


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