Se gli ortodossi si scoprono eretici

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Sul Sole 24 ore del 20 ago­sto sono apparsi due istrut­tivi arti­coli di Donato Mascian­daro e Luigi Zin­ga­les entrambi, pur con diversi accenti, auto­re­vol­mente inse­riti nel main­stream del pen­siero eco­no­mico. Entrambi mani­fe­stano la pre­oc­cu­pa­zione per l’accoppiata recessione-deflazione che in Europa sta carat­te­riz­zando que­sta fase della crisi in atto dal 2007–2008 e ana­liz­zano cosa potrebbe fare (e non fa) la Bce per uscirne.

Entrambi sot­to­li­neano che l’eurozona si trova nella situa­zione di trap­pola della liqui­dità (abbon­danza di offerta di moneta e bassi tassi d’interesse che, tut­ta­via, non sti­mo­lano l’attività dei mer­cati per­ché la domanda e le aspet­ta­tive su di essa sono basse) che, giova ricor­darlo, è una con­di­zione illu­strata da Key­nes per evi­den­ziare i imiti non solo della poli­tica mone­ta­ria, ma prima ancora dei mer­cati che non rie­scono ad atti­vare la produzione.

Dun­que ci sarebbe biso­gno di poli­ti­che fiscali espan­sive, ma nell’Ue ciò è osta­co­lato sia dall’assenza di una poli­tica fiscale comune sia dalle pre­clu­sioni alle poli­ti­che di bilan­cio nazio­nali deri­vanti dai vin­coli comu­ni­tari restrit­tivi (fiscal com­pact). Entrambi sot­to­li­neano che aver creato la Bce in assenza di un inter­lo­cu­tore sta­tale comu­ni­ta­rio e averle affi­dato solo l’obiettivo di lotta all’inflazione e non anche alla disoc­cu­pa­zione, mette la Bce stessa, ma soprat­tutto l’economia dell’eurozona, in gravi dif­fi­coltà rispetto al rilan­cio della cre­scita. Entrambi si dichia­rano pro­pensi a rimuo­vere un capo­saldo della posi­zione domi­nante costi­tuito dal divieto ai governi di con­tare sul finan­zia­mento mone­ta­rio della spesa pubblica.

Per supe­rare que­sti osta­coli, Mascian­daro pro­pone che la Bce acqui­sti titoli di stato e che lo stesso tetto del 2% all’inflazione sia innal­zato (tem­po­ra­nea­mente). Tut­ta­via, rite­nendo la poli­tica euro­pea ancora inca­pace a gestire una poli­tica fiscale comune (e i suoi effetti redi­stri­bu­tivi), la Bce dovrebbe acqui­stare titoli emessi solo da stati non euro­pei (non solo americani).

In que­sto modo si avrebbe un aumento dell’offerta di euro con effetti posi­tivi anche in ter­mini di deprez­za­mento del suo tasso di cam­bio, ma – su que­sto Mascian­daro sor­vola – la nuova moneta creata dalla Bce andrebbe a finan­ziare solo il debito pub­blico di altri paesi. Zin­ga­les fa una pro­po­sta ancora più “spre­giu­di­cata” rispetto ai fon­da­menti del main­stream cui appar­tiene e dei Trat­tati euro­pei. Ma per non appa­rire uno “sper­giuro”, si “appog­gia” ad un para­dosso di Mil­ton Fried­man secondo cui per scon­fig­gere la defla­zione basta che la banca cen­trale “lasci cadere il denaro da un eli­cot­tero”. Un’ipotesi molto più ete­ro­dossa del sot­ter­rare denaro e finan­ziare chi scava e riem­pie le buche fatta da Key­nes! Tranne che, men­tre quello di Fried­man è un para­dosso rispetto alla sua impo­sta­zione ana­li­tica che pre­scrive la “regola aurea” che esclude poli­ti­che mone­ta­rie (e non solo) espan­sive per­ché i mer­cati sanno cre­scere da soli, per Key­nes, nor­mal­mente, i mer­cati non hanno que­sta capa­cità e la poli­tica eco­no­mica deve rego­lar­mente inter­ve­nire per evi­tare disoc­cu­pa­zione e crisi. Ma Zin­ga­les sor­vola su que­sto par­ti­co­lare e, comun­que sia, pro­pone che la Bce finanzi la spesa pub­blica dei paesi euro­pei ogni qual volta l’inflazione scenda sotto ‘1%; il che signi­fica che avrebbe già dovuto farlo da un pezzo.

Que­sti scon­fi­na­menti nell’eterodossia e i sem­pre più fre­quenti richiami di tutti i com­men­ta­tori di for­ma­zione eco­no­mica main stream alla neces­sità di “poli­ti­che non con­ven­zio­nali” con­fer­mano le ana­lisi cri­ti­che ina­scol­tate rivolte da decenni al modello neo­li­be­ri­sta che pre­scrive la non intro­mis­sione delle isti­tu­zioni pub­bli­che nell’attività dei mer­cati. Ven­gono anche con­va­li­date le spe­ci­fi­che cri­ti­che a come è stata costruita l’Unione euro­pea cioè con un ele­vato defi­cit isti­tu­zio­nale e demo­cra­tico ovvero con una forte carenza della neces­sa­ria inte­ra­zione delle deci­sioni col­let­tive rispetto a quelle indi­vi­duali prese nei mer­cati. La sem­pre più rico­no­sciuta neces­sità di soste­nere una domanda con­si­stente e sta­bile anche per con­sumi — pre­giu­di­cata invece dalle accre­sciute dise­gua­glianze distri­bu­tive e dalla pre­ca­rietà dei red­diti da lavoro (la trap­pola della liqui­dità dipende pure da que­sto) — richiama gli effetti con­tro­pro­du­centi di aver pro­gres­si­va­mente sca­ri­cato nei pas­sati decenni la mag­giore incer­tezza gene­rata dai mer­cati glo­ba­liz­zati sui lavoratori.

In que­sto con­te­sto di pro­gres­sivo rav­ve­di­mento (magari incon­sa­pe­vole) impo­sto dalla realtà della crisi rispetto all’impostazione delle poli­ti­che seguite in Europa spic­cano, da un lato, la per­du­rante capar­bietà dei respon­sa­bili della poli­tica comu­ni­ta­ria e, d’altro lato, la sua con­di­vi­sione da parte di chi più dura­mente ne sop­porta le con­se­guenze. Il governo Renzi (“rispet­te­remo il 3%”) come primo inter­vento ha aumen­tato la fles­si­bi­lità (pre­ca­rietà) del lavoro, ha elar­gito i famosi 80 euro (solo ad alcuni fasce di lavo­ra­tori, esclu­dendo però anche quelle più biso­gnose) che non hanno aumen­tato la domanda di chi li ha rice­vuti ma, per finan­ziarli, ha ridotto altri canali della spesa pub­blica e adesso spinge addi­rit­tura a pre­lievi sulle pen­sioni, e non su quelle pri­vate che sono incen­ti­vate fiscal­mente, ma solo su quelle pub­bli­che, che già sosten­gono il bilan­cio pub­blico con un saldo attivo di 24000 miliardi tra le entrate con­tri­bu­tive e le pre­sta­zioni pre­vi­den­ziali). Esat­ta­mente il con­tra­rio di “equità e sviluppo”.


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