Uffici pubblici, dimezzati i distacchi sindacali

by redazione | 26 Agosto 2014 9:01

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ROMA — Non è un caso che sia la prima misura dell’intero pacchetto sulla pubblica amministrazione a produrre effetti concreti. Dal primo settembre, come previsto dal decreto legge approvato all’inizio dell’estate, vengono tagliati del 50% i distacchi e i permessi sindacali dei dipendenti pubblici. Su 3 mila persone che avevano lasciato l’ufficio per lavorare a tempo pieno nei sindacati, 1.500 torneranno nelle amministrazioni di provenienza. Una cifra alla quale si arriva sommando i distacchi veri e propri con quelli di fatto, ottenuti cumulando le ore di permesso assegnate ad ogni sindacato. L’obiettivo è «razionalizzare e ridurre la spesa pubblica», come si legge nella circolare firmata nei giorni scorsi dal ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia. E se il presidente del Consiglio Matteo Renzi dice che così il governo «dimostra di fare sul serio» anche un pezzo dell’opposizione dimostra di apprezzare: «È un risultato epocale — dice il senatore di Forza Italia Francesco Giro — ammetto che Renzi è stato bravo». Protestano invece i sindacati, che incassano un colpo ormai messo in preventivo. E provano ad evitare lo scontro frontale.
«Questa scelta ci mette in difficoltà ma non ridurremo la nostra attività, anzi», dice per la Cgil il responsabile dei settori pubblici Michele Gentile. «Non ci fasciamo la testa ma ora basta con la demagogia e il populismo», aggiunge il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, mentre dalla stessa sigla Francesco Scrima dice che così «si colpisce chi fa attività di assistenza ai lavoratori». Per la Uil il segretario aggiunto Carmelo Barbagallo dice che questa scelta «genererà costi e non risparmi» perché a chi rientra negli uffici di provenienza «bisognerà pagare anche il salario accessorio, i buoni pasto e la produttività».
Ma cosa succederà adesso? Gli ormai ex sindacalisti richiamati in ufficio hanno una rete di sicurezza. Se per lavorare per una delle sigle che rappresentano i lavoratori hanno dovuto cambiare città, potranno evitare un nuovo trasloco. Torneranno nella vecchia amministrazione ma non nella vecchia città. Potranno fare domanda di trasferimento e la loro richiesta, come si legge nella circolare del ministro Madia, avrà la «precedenza sugli altri richiedenti». Non una garanzia assoluta ma un discreto vantaggio. Gli ex distaccati conserveranno gli scatti di anzianità e, per quelli che dovessero finire ad altre amministrazioni perché gli organici sono pieni, anche il «trattamento economico in godimento all’atto del trasferimento mediante attribuzione ad personam della differenza».
Il settore della pubblica amministrazione sul quale il taglio dei distacchi si sentirà di più è quello della scuola. Sui 1.500 ex sindacalisti che torneranno in ufficio 480 sono insegnanti. E il loro rientro in cattedra toglierà spazio a quelle supplenze annuali che ogni anno servivano proprio per coprire quei buchi in organico. In tutto il resto della pubblica amministrazione ci sono poi 67 dirigenti, 200 persone che formalmente non erano in distacco ma di fatto sì, perché cumulavano le ore di permesso, e altre 806 che invece avevano un distacco vero e proprio.
Si sono salvate dal taglio le Rsu, le rappresentanze sindacali unitarie. Mentre per i rappresentati di polizia e vigili del fuoco sono previste regole diverse e più morbide. Anche se proprio questo è il settore più in fermento. Domani i sindacati autonomi si raduneranno in piazza del Popolo, a Roma, sotto lo striscione «Ci tolgono il sangue, meglio donarlo». E lo doneranno davvero, per protesta. Non c’entrano i distacchi ma gli stipendi. Per il comparto sicurezza non c’è soltanto il blocco della contrattazione che vale per tutto il pubblico impiego. Ma anche il congelamento degli aumenti in caso di promozione: stessi soldi, più responsabilità. C’è chi la chiama aumento della produttività.
Lorenzo Salvia

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