Le voci su recessi-boom e rischi per la fusione affondano Fiat in Borsa

TORINO . Chi vuol far fallire la fusione Fiat-Chrysler? E con quale obiettivo finale? Il tonfo in Borsa di ieri mattina (il titolo è arrivato a perdere fino al 7 per cento) e il recupero solo parziale (meno 3,1) dopo un comunicato del Lingotto che tentava di calmare le acque, rendono legittimi interrogativi che fino a poche settimane fa sarebbero apparsi paradossali. Ancora ieri sera, al termine di una giornata convulsa, le possibilità che il progetto Fca non veda la luce venivano date al di sotto del cinquanta per cento. Ma certo lo scenario è possibile.
Nel giorno in cui il Lingotto ha iscritto la delibera sulla fusione al Registro delle Imprese di Torino, il titolo ha cominciato a scendere vertiginosamente. Fino ad arrivare, a fine mattinata, a 6,5 euro, 1,20 sotto il valore che verrà corrisposto a chi, in seguito alla fusione, intende recedere dall’azionariato. Il crollo del titolo è stato spiegato con le voci di Borsa che prevedono un massiccio ricorso al diritto di recesso da parte degli azionisti contrari alla nascita di Fca. Così a metà giornata il Lingotto ha diffuso un comunicato in cui si smentiscono quelle voci definendole «prive di fondamento» e aggiungendo che l’intenzione di recesso poteva essere annunciata dagli azionisti scontenti solo a partire dal pomeriggio di ieri e fino al 20 agosto. Dunque fino a fine mese nessuno potrà conoscere con certezza il numero dei recedenti. E soprattutto fino a fine mese non si saprà se il valore totale delle azioni restituite supera la soglia di 500 milioni oltre la quale il Lingotto non paga nulla ma la fusione salta.
Da ieri però gli interrogativi sono aumentati. Ci si trova in questa situazione perché Fiat ha scelto una soglia relativamente bassa oltre la quale il progetto fallisce: 500 milioni di euro a 7,7 euro per azione equivalgono al 5 per cento dell’intero capitale sociale e non è difficile immaginare che in una sala con 100 persone ce ne siano almeno 5 in disaccordo. E’ vero che se tutti esercitano il diritto di recesso non ottengono un euro perché il progetto salta ma il rischio vale la candela? Non è ancora noto ufficialmente il verbale dell’assemblea con l’elenco di chi ha votato contro la fusione ma si dice che importanti fondi scozzesi, norvegesi e Usa avrebbero scelto questa posizione. Non è detto che trasformino il dissenso in recesso. Se lo facessero questa stessa scelta basterebbe a far fallire l’operazione.
E se saltasse la fusione, qual è il piano B del Lingotto? Ufficialmente Marchionne ed Elkann hanno detto: «Ci riproveremo tra qualche mese». Ma è evidente che l’impatto psicologico del fallimento sarebbe enorme. Fiat manterrebbe la proprietà di Chrysler (una delle controllate, come la Magneti Marelli) ma non sbarcherebbe a Wall Street. E lo stallo ridarebbe fiato alle voci su alleanze (se non vere e proprie acquisizioni) come quelle che sono rimbalzate dalla Germania su un interessamento di Volkswagen. Per questo la battaglia di agosto intorno al diritto di recesso è decisiva. E ancora una volta Sergio Marchionne si gioca inevitabilmente tutto.
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