Attac: informare, discutere e agire

Attac: informare, discutere e agire

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Dal 19 al 23 ago­sto, al grido di «infor­mare, discu­tere, agire», si è tenuta a Parigi la con­sueta uni­ver­sità estiva euro­pea dei movi­menti sociali pro­mossa dalla rete Attac. Per chi non lo sapesse, Attac – pre­sente in oltre 40 paesi in Europa, Africa ed Ame­rica Latina – è pro­ba­bil­mente la più grande di tutte le reti inter­na­zio­nali di oppo­si­zione e di alter­na­tiva al neo­li­be­ri­smo che sono emerse dal movi­mento alter­mon­dia­li­sta che si è svi­lup­pato tra la fine degli anni novanta e i primi anni zero.

Non a caso, l’organizzazione nasce pro­prio nel 2001, l’anno in cui quel movi­mento rag­giunse il suo apice, per poi essere bru­tal­mente stron­cato nelle strade di Genova. Il risul­tato (voluto) della san­gui­nosa stra­te­gia repres­siva di quei giorni fu quello di fran­tu­mare un movi­mento forte, uni­ta­rio ed inter­na­zio­na­li­sta – un movi­mento che univa la cri­tica alle mul­ti­na­zio­nali alla difesa dei beni comuni, l’ecologia alla demo­cra­zia par­te­ci­pa­tiva, l’analisi lucida delle tra­sfor­ma­zioni glo­bali in corso alle bat­ta­glie locali (o «glo­cali», come si diceva al tempo), un movi­mento che quando mar­ciava era sem­pre un fiume in piena (molti al tempo furono i para­goni con il movi­mento del ’68) – in una miriade di rivoli loca­li­stici segnati dalla paura, dal disin­canto e dalla con­sa­pe­vo­lezza che forse, in fondo, un altro mondo non è pos­si­bile. Que­sto è senz’altro vero per l’Italia, ma non solo, e gli effetti si sen­tono ancora oggi. Eppure, per chi era a Parigi nelle gior­nate del forum, la sen­sa­zione sor­pren­dente era quella di essere tor­nati indie­tro di quin­dici anni.

Merito in buona parte di Attac (e degli innu­me­re­voli gruppi che ad esso fanno rife­ri­mento), che in que­sti anni ha tenuto vivo – soprat­tutto in Fran­cia, patria dell’organizzazione – lo spi­rito e le bat­ta­glie dell’altermondialismo, e in par­ti­co­lar modo la capa­cità di quel movi­mento di unire le bat­ta­glie sui sin­goli temi a una cri­tica pro­fonda, radi­cale e siste­mica dell’attuale modello eco­no­mico e sociale. Rispon­dendo chia­ra­mente a un biso­gno che oggi come ieri con­ti­nua ad essere pre­sente nella società, come dimo­stra la straor­di­na­ria rispo­sta della gente: più di 2,000 gli atti­vi­sti discesi su Parigi da tutta Europa (molti anche gli invi­tati dall’Africa, dall’Asia e dalle Ame­ri­che) per l’evento.

Quindi non solo crisi e auste­rity al cen­tro dei dibat­titi, ma anche: cam­bia­mento cli­ma­tico, demo­cra­zia diretta, ricon­ver­sione eco­lo­gica, tra­sfor­ma­zione dei modelli pro­dut­tivi e di con­sumo, trat­tati com­mer­ciali (a par­tire ovvia­mente dal Ttip, il fami­ge­rato accordo di libero scam­bio Europa-Usa), sovra­nità ali­men­tare, finanza, geo­po­li­tica e impe­ria­li­smo, pri­ma­vere arabe, l’ascesa dell’estrema destra in Europa, e tanto altro. Della crisi sociale, eco­no­mica e poli­tica pro­vo­cata dalle poli­ti­che della troika, del futuro dell’euro e delle alter­na­tive pos­si­bili hanno discusso per tre giorni, nell’aula magna stra­colma dell’Università di Parigi VII-Diderot sulle rive della Senna: Tre­vor Evans (Euro­Memo), Mariana Mor­ta­gua (Bloco de Esquerda, Por­to­gallo), Domi­ni­que Pli­hon (Eco­no­mi­stes Atter­rés, Fran­cia), Mario Pianta (Sbi­lan­cia­moci!), Cri­stina Asensi (Attac Spa­gna), Thilo Bolde (Green­peace Ger­ma­nia), Aris Cha­tzi­ste­fa­nou (regi­sta di Deb­to­cracy) e altri.

Nume­rosi e varie­gati i toni degli inter­venti: cogni­zione dei rischi che un’eventuale disgre­ga­zione della zona euro com­por­te­rebbe per l’Europa (e in par­ti­co­lare per le eco­no­mie più deboli del con­ti­nente) ma anche cre­scente scet­ti­ci­smo sulla capa­cità di rom­pere la gab­bia dell’auste­rity all’interno del pro­cesso «demo­cra­tico» ed isti­tu­zio­nale euro­peo; con­sa­pe­vo­lezza della pro­ba­bile neces­sità di un’insubordinazione, di una for­za­tura o rot­tura nazio­nale delle regole euro­pee (che non vuol dire neces­sa­ria­mente uscire dall’euro ma sem­mai usare que­sto come stru­mento di pres­sione o ricatto nei con­fronti dell’esta­blish­ment con­ser­va­tore), ma anche del fatto che tutta la dif­fe­renza la fa se que­sto avviene “da sini­stra” (come si sta ten­tando di fare in Gre­cia, in Spa­gna e in Por­to­gallo) o piut­to­sto «de destra», come sta avve­nendo in Fran­cia, dove è il Front natio­nal di Marine Le Pen a inter­cet­tare il cre­scente anti-europeismo dei fran­cesi. Con­sa­pe­vo­lezza anche del fatto che forse uno dei pro­blemi prin­ci­pali è che i movi­menti sociali non hanno ancora un’alternativa chiara da pro­porre, e quindi che è solo con­ti­nuando a incon­trarsi, a discu­tere e a scam­biarsi idee, lotte ed espe­rienze che si riu­scirà ad uscire insieme dalla crisi in corso.

Cru­ciali a tal pro­po­sito i pros­simi appun­ta­menti dell’agenda dei movi­menti sociali euro­pei, tra cui la grande mani­fe­sta­zione indetta da Bloc­kupy in occa­sione dell’inaugurazione del nuovo edi­fi­cio della Bce a Fran­co­forte, a ini­zio 2015, ma soprat­tutto la 21esima con­fe­renza mon­diale sul clima, che si terrà a Parigi alla fine dell’anno prossimo.



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