“Basta con l’austerity più potere alle donne” E il cuore della Svezia batte di nuovo a sinistra

“Basta con l’austerity più potere alle donne” E il cuore della Svezia batte di nuovo a sinistra

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STOCCOLMA. Fai fatica a camminare nella folla quasi come sulla Fifth avenue se entri da Ahlens, la Harrods’ di Stoccolma a piazza Sergelstorg. È sempre affollata anche la Kulturhuset, la vivacissima casa della cultura che Olof Palme volle là nel cuore del centro consumista. Nel mercato coperto fin de siècle a Ostermalm, belle signore e manager si affrettano a far la spesa per riempire i Suv Volvo o made in Germany. E a sera viaggi sicuro anche tardi sulla comoda Tunnelbana, il metrò adornato di arte murale. In strada ti senti sempre parte d’una folla più multietnica che mai. Non la cogli subito la crisi che pure ha investito l’eterno paese-modello e laboratorio dell’eurosinistra, e che alle elezioni di questa domenica potrebbe riportare lo storico partito socialdemocratico al potere. In coalizione con Verdi, sinistra radicale e, prima assoluta in Europa, con un partito femminista.
Duello di peso nella Ue della nuova Commissione Juncker, quello tra i “borghesi” (qui il centrodestra si chiama così) al potere da ben otto anni e le sinistre guidate dai socialdemocratici dell’ex sindacalista Stefan Loefven, eredi di Olof Palme. Nell’aritmetica elettorale, un asso nella manica delle sinistre può essere proprio l’Iniziativa femminista, il partito fondato dall’ex comunista Gudrun Schyman e sponsorizzato da Benny Anderson (sì, proprio lui, quello degli Abba). Più uguaglianza e diritti alle donne in uno dei paesi dove le donne sono meno discriminate al mondo: è un segnale in più della voglia di cambiamento, di svolta a sinistra, ritorno alle origini alla svedese.
«Stiamo recuperando, possiamo ancora sperare di farcela, magari la gente ci preferirà come certezza: finanze pubbliche ben gestite, no all’eccesso di tasse e allo stataliswagen smo», mi dice la star del centrodestra al potere, il ministro delle Finanze Anders Borg. Lo incontro al suo civilissimo duello in piazza con la sfidante, la numero due socialdemocratica Magdalena Andersson. Che subito gli ribatte: «No, caro collega, vinceremo noi eurosocialisti, per portare più lavoro e giustizia sociale». Duellano senza mai alzare la voce né insultarsi. Contraddittorio in piazza e online insieme, così qui vivono la democrazia: dibattito in centro sul palco organizzato dal quotidiano popolare Expressen , e ritrasmesso in diretta dalla tv del giornale e dall’edizione online. Reality tv a casa e sulla rete, teste bionde e volti africani applaudono insieme ora l’uno ora l’altro, o seguono da tablet o da schermi piatti a casa.
Lo scontro non ha uno sfondo di dramma, in apparenza: alle due crisi economico-finanziarie la Svezia ha retto bene: resta terra d’export di eccellenze industriali, il centrodestra vanta la creazione di 500 mila nuovi posti di lavoro, il paese continua ad accogliere a aiutare più migranti e profughi che mai. Però pesa la crescita della disoccupazione (dal 6 all’8 per cento), con quella giovanile balzata addirittura al 20 per cento, un dato che qui fa tremare. E mentre sono stati salvati simboli industriali come Scania e Volvo-auto (rispettivamente da Volk- e dalla Cina), le sinistre denunciano che privatizzare in istruzione e sanità ha creato nuove disuguaglianze, aliene all’anima nazionale.
I sondaggi danno in vantaggio l’eterogenea somma delle sinistre, cioè socialdemocratici, Verdi e Vansterpartiet (sinistra radicale), al 45,6 per cento. Ma i “borghesi” (moderati del premier Fredrik Reinfeldt e altri partiti di centrodestra), che due settimane fa erano sotto di oltre 11 punti, ora recuperano al 41,6 per cento. Tra dare un terzo mandato ai liberisti-conservatori e tornare alle certezze fondatrici del welfare made in Sweden , l’elettore sembrava indeciso come il commissario Wallander, ma ora, con le femministe da venerdì sopra la soglia di rappresentanza (4%), le sinistre sembrerebbero avere la vittoria in pugno. Peccato che un terzo incomodo complichi tutto: i populisti di Jimmy Akesson, gli Sveriges Demokraterna che volano tra l’8 e il 10 per cento e potrebbero complicare ogni formula di governo.
«Non siamo razzisti, io sono per la tolleranza zero contro il razzismo», si difende Jimmy Akesson, giacca cravatta e occhiali da nerd, che fa tanto bravo ragazzo. «In Europa siamo affiliati all’Ukip di Nigel Farage, non al Front National», incalzano i suoi seguaci che ascolto a Sergelstorg cuore dello scontro politico e del paese. «Vogliamo un referendum sul sì o no alla Ue». Gli ultimi slogan ai comizi erano altri: «Arabi tutti ladri», «i migranti hanno un dna cattivo». Investigative reporters delle tv private hanno colto in castagna militanti di Akesson incitanti alla violenza xenofoba insieme a neonazi con svastica al braccio.
Antico risvolto cupo dell’animo di questo paese civilissimo. «Heder och Samvete»: onore e coscienza, come denunciò anni fa il libro di Maria Pia Boethius che fece sensazione, anche qui non sono sempre andate d’accordo, specie nella neutralità filotedesca durante la guerra, o in passate simpatie naziste di grandi nomi, compreso il fondatore di Ikea, Ingvar Kamprad. Ma il no alla nuova destra unisce i duellanti, ossia i “borghesi” e e le sinistre. «Con quelli là non si tratta e non si parla», dice deciso il ministro Borg, «sono alieni ai nostri valori costitutivi. Il razzismo è osceno, e occorre dir chiaro alla gente che i paesi di maggior successo nel mondo sono società multietniche». Consenso bipartisan, contro l’ultradestra. Ma, tra rigore alla Merkel e più investimenti per il lavoro, è alto il rischio che la “terza via” anche qui diventi quella delle neo-destre.



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