Camusso non strappa. Renzi avverte il Pd

by redazione | 21 Settembre 2014 17:51

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ROMA — «Noi siamo qui per cambiare l’Italia e non accetteremo mai di fare la foglia di fico alla vecchia guardia che a volte ritorna. O almeno ci prova». Il premier Matteo Renzi, nel respingere le accuse della Cgil sul Jobs act, attacca la sinistra Pd. Il sindacato, però, non molla e ribatte: «Basta insulti — è il monito lanciato su Twitter —. Guardiamoci negli occhi e discutiamone, ma mandare tutti in serie B non significa estendere i diritti e le tutele».
Il premier, in una lettera agli iscritti del suo partito, replica come sempre, senza peli sulla lingua, a chi lo ha accusato di essere come la Thatcher: «Ci hanno paragonato ai leader della destra liberista anglosassone degli anni Ottanta — scrive l’ex sindaco di Firenze —, ma a me hanno insegnato che essere di sinistra significa combattere un’ingiustizia, non conservarla». Poi affonda la lama contro chi lo ha criticato sul Jobs act: «Anche nel nostro partito c’è chi vuole cogliere la palla al balzo per tornare agli scontri ideologici e magari riportare il Pd al 25%. Noi no». E va oltre: «Chi oggi difende il sistema vigente, difende un modello di diseguaglianze dove i diritti dipendono dalla provenienza o dall’età. Noi, invece, vogliamo difendere i diritti di chi non ha diritti: quelli di cui nessuno si è occupato fino a oggi». «Davanti a un problema c’è chi trova soluzioni provando a cambiare e chi organizza convegni lasciando le cose come sono — rincara la dose il presidente del Consiglio —, ma la nostra sfida è bloccare l’emorragia dei posti di lavoro e tornare a crescere, semplificare il fisco pagando meno (ma pagando tutti, finalmente!) e, prima di tutto, investire sull’educazione e sulla scuola». Visto che non c’è tempo da perdere, Renzi annuncia: «Il 29 settembre presenterò il Jobs act in direzione nazionale del Pd». Il premier spiega che «dobbiamo attirare nuovi investimenti, perché senza nuovi investimenti non ci saranno posti di lavoro e aumenteranno i disoccupati. Ma dobbiamo anche cambiare un sistema ingiusto che divide i cittadini in persone di serie A e di serie B e umilia i precari».
Pensieri condivisi dal sottosegretario Graziano Delrio che promette: «Non verranno ridotti i diritti, ma si abbatteranno vecchi tabù». Aggiunge il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia: «L’articolo 18 è un falso problema, non è una priorità dei giovani». E la presidente della Camera, Laura Boldrini, auspica: «Mi auguro che da questo scontro, anche aspro, si arrivi ad una tutela effettiva dei lavoratori, sia di quelli più garantiti, sia dei precari: sull’articolo 18 non do pagelle».
Se rimangono molto lontane le posizioni del governo e della Cgil sulla modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (il licenziamento senza «giusta causa» nelle grandi aziende), il sindacato guidato da Susanna Camusso su Twitter lascia uno spiraglio al dialogo dichiarandosi disponibile «al contratto di lavoro a tutele crescenti, ma solo se si cancellano i tanti contratti che producono precarietà e i licenziamenti senza ragione». Per il momento non ci sono appuntamenti in programma, ma una parte del partito starebbe lavorando per favorire un incontro tra Renzi e i vertici della Cgil, dopo la direzione del 29. Il sindacato indica tra i punti da avviare per la riforma del lavoro: «Malattia e maternità: estendiamo a tutti i diritti e le tutele»; «niente declassamenti di qualifica» e soprattutto «dignità a chi lavora». Al termine di una raffica di tweet, il sindacato di Corso d’Italia lancia un interrogativo: «Da sempre ci battiamo per estendere diritti e tutele. Renzi vuole fare lo stesso?».
Più dure le critiche mosse al premier dal leader di Sel, Nichi Vendola: «Stai per realizzare il grande sogno della destra politica ed economica abbattendo tutte le regole che danno dignità e diritti a chi lavora. E lo fai usando il pretesto sgradevole e insopportabile dei precari». Anche Luigi Di Maio (M5S) attacca: «La modifica dell’articolo 18 serve solo alle multinazionali per schiavizzare altri italiani».
Se Raffaele Bonanni (Cisl) dice «sì» alla rimodulazione dell’articolo 18 purché il contratto a tutele crescenti sia applicato a tutte le forme di precariato mentre Luigi Angeletti (Uil) si schiera con Camusso: «Questa sorta di duello rusticano tra Renzi e la Cgil ci sta veramente stufando. Il fatto che in passato non abbiamo avuto la forza di difendere quei lavoratori poco tutelati, non è una buona argomentazione per togliere protezioni a chi ce l’ha».
Francesco Di Frischia

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