Il cardinale nigeriano: parlare a Boko Haram

Il cardinale nigeriano: parlare a Boko Haram

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ANVERSA — In tre giorni tutto il mondo. Con i suoi drammi, ma anche le sue speranze. Dall’Iraq alla Nigeria. È possibile fermare le guerre? Qui ad Anversa, migliaia di giovani europei, insieme a 350 rappresentanti delle religioni e della cultura, ci credono. Accogliendo l’invito della Comunità di Sant’Egidio ieri sera, alla fine di un’intensa tre giorni interreligiosa, hanno risposto ai crescenti conflitti con un solenne appello di pace nella piazza centrale della città, la Grote Markt. E se c’è chi si dice in guerra nel nome di una religione, «occorre essere responsabili», scendere in campo come autorità cristiane, musulmane, ebree o di altre confessioni, fare di tutto per fermarla. Lo aveva chiesto anche il Papa nel suo messaggio all’inizio dell’incontro «La pace è il futuro». Non sarà «l’Onu delle religioni» in senso stretto, così come ne ha parlato l’ex presidente di Israele Shimon Peres, perché non si può creare una nuova, ennesima, struttura. Ma gli esponenti delle diverse religioni presenti hanno già inventato una rete di intervento, anche concreto, e promettono di restare in contatto per rispondere alle crisi, anche quelle più gravi.
Nella tavola rotonda sulla crisi nigeriana, uno dei 25 panel organizzati, c’erano persone che potevano considerarsi in guerra: cristiani come l’arcivescovo di Jos, città più volte scenario di conflitti violenti, o come il pastore protestante Wuye, di fronte all’imam Ashafa e all’emiro, musulmano, di Wase. Ma tutti hanno dato ragione allo storico Marc-Antoine Pérouse de Montclos, esperto di Boko Haram, quando ha spiegato che le vittime del temibile gruppo islamista «sono per due terzi» musulmane. E che se fanno attentati contro i cristiani, non è tanto per la «guerra santa» ma per «la visibilità che offrono questi atti in Occidente». Non solo. Nel corso di un dibattito appassionato si è anche detto che, di fronte al crescendo inaudito di questo tipo di terrore, occorre provare qualcosa che sia diversa dalla semplice risposta militare. Provarci almeno.
Il cardinale di Abuja, John Olorunfemi Onaiyekan, ha preso la parola per invocare una «mediazione» che può sembrare impossibile, ma che secondo la massima autorità della Chiesa cattolica in Nigeria «è una via da praticare». Prima di tutto perché l’arma della repressione «finora non ha funzionato», anzi ha prodotto un’escalation della violenza. E poi perché al cardinale appare possibile coinvolgere un vasto fronte di musulmani favorevoli alla pace: «Negli attentati non muoiono solo i cristiani, anche l’Islam è colpito pesantemente. Le ragazze rapite non sono solo cristiane». E ancora: «Sono tanti gli imam che si dissociano dalla lotta armata, ma occorre che siano protetti. C’è bisogno di avviare un negoziato per arrestare questa tragedia. Anche perché Boko Haram, conquistando interi territori del Paese, comincia a governare e a riscuotere consenso, non solo con il terrore ma anche con il calo della corruzione». Una delle grandi piaghe della Nigeria, il più popoloso Stato africano.
Di altre crisi, come quella dell’Iraq, si è parlato qui ad Anversa. E a denunciare con forza ogni guerra in nome della religione sono stati autorevoli esponenti del mondo musulmano. Di Paesi diversi tra loro. Il Gran Mufti dell’Egitto, Abdel Karim Allam, ha parlato della colpevole «lontananza e impreparazione» dei seguaci del Califfato rispetto alla «vera dottrina dell’Islam». E l’iraniano Sayyed Mohammad ha spiegato che il radicalismo di certi gruppi «è frutto di un’alleanza tra i tiranni e la parte più ignorante della popolazione». «La globalizzazione non addice alla semplificazione», ha avvertito alla fine Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, che ha organizzato l’incontro insieme al vescovo di Anversa. In altre parole «non è jihad contro crociata, il mondo è più complesso e articolato». Nell’appello finale, letto nella grande piazza, c’è scritto: «La pace è una cosa troppo seria per lasciarla solo ad alcuni». Cioè solo alla politica, alle istituzioni. E che oggi «troppo pochi sognano la pace». Qui ad Anversa, invece erano molti in questi giorni a volerla realizzare. Tanto che si sono già dati appuntamento per un nuovo incontro internazionale. Tra un anno a Tirana, in Albania.
Roberto Zuccolini



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