Emilia, Bonaccini non si ritira Contestate spese per 4 mila euro

Emilia, Bonaccini non si ritira Contestate spese per 4 mila euro

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BOLOGNA — Cercasi rovesciata acrobatica alla «Bonimba», al secolo (scorso) Roberto Boninsegna, mitico bomber di cui Stefano Bonaccini, 47 anni, segretario del Pd emiliano, nonché renziano della seconda ora e responsabile nazionale degli enti locali, ha ereditato, vogliamo credere per meriti calcistici, il prestigioso soprannome nella cerchia degli amici modenesi.
Solo una prodezza politica da figurina Panini potrà infatti tirare fuori dalle secche il «Bonimba» del Pd, la cui corsa tramite primarie alla successione dell’ex governatore Vasco Errani sta rischiando di impantanarsi tra gli avvisi di garanzia per peculato di quella maxi inchiesta sulle «spese allegre» in Regione che lievita da 2 anni, che dall’ottobre scorso vede indagati i 9 capigruppo di tutti i partiti e che ora, con un’ulteriore accelerazione, ha già messo sotto inchiesta 8 consiglieri del Pd e altri (di vari schieramenti) presto arriveranno. Perso lo sfidante principale alle primarie — Matteo Richetti, 40 anni, modenese, renziano e pure lui indagato per peculato, che ha deciso di ritirarsi dalla tenzone sotto il peso delle pressioni romane, non certo per un’inchiesta di cui anche i bambini sapevano l’esistenza — Bonaccini ieri ha fatto esattamente il contrario di quello che una buona fetta del popolo web — qualcuno in rima, altri in modo più rozzo — gli ha chiesto per ore sul suo profilo Facebook: «Fatti da parte, dimettiti».
Giammai. «Sono onesto e determinato a proseguire la campagna per le primarie. Non ho nulla da nascondere e penso di aver dato spiegazioni per qualsiasi addebito». A testa bassa come il Bonimba, il segretario emiliano del Pd così si è presentato ieri pomeriggio dopo aver affrontato per quasi 3 ore, affiancato dall’avvocato Vittorio Manes, la squadra degli inquirenti al gran completo (i pm titolari dell’indagine, Morena Plazzi e Antonella Scandellari, il procuratore aggiunto Valter Giovannini e il procuratore capo Roberto Alfonso). A Bonaccini, a detta del suo legale, vengono contestate spese, pranzi e rimborsi benzina «che ammontano a meno di 4 mila euro in 19 mesi, qualcosa come 200 euro al mese». Soldi del gruppo (quindi pubblici) non usati per fini personali (niente a che vedere con le imprese di Fiorito, «Er Batman»), ma che sarebbero privi di pezze d’appoggio in grado di dimostrare che si tratti di spese fatte nell’ambito dei propri compiti istituzionali e non per attività di partito. «Sono state date tutte le spiegazioni» ha affermato l’avvocato Manes, che, a quanto trapelato, avrebbe consegnato agli inquirenti scontrini e alcune ricevute a parziale giustificazione di alcune voci. Basterà? Lo si capirà presto, visto che il legale di Bonaccini ha intenzione di uscire di corsa dall’inchiesta: «Chiederemo di stralciare la posizione per arrivare a un’archiviazione». Anche Richetti dovrà rispondere di qualche migliaio di euro (poco più di 5 mila), soprattutto cene e rimborsi chilometrici, oltre a due notti in un albergo a Riva del Garda per 500 euro.
Ma è su Bonaccini che i fari sono puntati. Restare in campo significa esporsi al rischio di ritrovarsi addosso, magari da governatore eletto, un rinvio a giudizio. Forse ringalluzzito dal confronto in Procura, che secondo alcuni avrebbe contribuito ad alleggerire la sua posizione, il segretario regionale ha sfidato ieri sera gli umori della base alla Festa provinciale dell’Unità. «Ci metto la faccia, ci sono le condizioni per restare in campo» ha ribadito ai pochi (e silenziosi) militanti presenti. Ha anche aggiunto «di sentire l’appoggio del partito». E qui qualche dubbio è lecito, almeno stando alla sbrigativa risposta del vicesegretario Guerini sull’ipotesi di sue dimissioni: «Valuterà lui…». Babele interminabile, le radici di queste primarie, oggi più che mai a rischio, affondano in un’inchiesta che, macchiando la presunta «diversità emiliana», ha portato alla luce in Regione una creativa teoria di «spese allegre» con soldi pubblici. Cene per 220 mila euro targate Pdl, a seguire il Pd con 145 mila. Dimissioni dell’ex capogruppo dem, Marco Monari, a cui vengono attribuiti pasti al ristorante per 30 mila euro più weekend a Venezia per lo Sposalizio del Mare. E un bazar di acquisti: asciugacapelli, forno microonde, profumi, medicine, bottiglie di vino. Pure un rimborso da 70 cent per l’uso di bagni pubblici.
Francesco Alberti



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