I cristiani d’Iraq pronti a combattere

SANLIURFA (Turchia) Che i cristiani iracheni perseguitati dai tagliagole dello Stato Islamico volessero organizzarsi in unità di difesa armate è risaputo da tempo. «Perché nessuno ci protegge? Vogliamo i fucili e le munizioni così possiamo farlo da soli», gridavano a decine la seconda settimana di agosto durante le riunioni con i vescovi e prelati nelle chiese e basiliche di Erbil trasformate in campi profughi dopo la presa di Qaraqosh e di altri importanti centri cristiani. Erano appena sfuggiti alla caccia dei fanatici sunniti. Umiliati, derubati. Alle loro spalle mogli, figli, gli anziani genitori, ammassati con le poche cose che erano riusciti a portare via, esausti tra il caldo e la polvere. Adesso quelle richieste dettate dal diffuso sentimento di frustrata impotenza stanno trovando risposte: i peshmerga, la milizia curda nell’enclave autonoma dell’Iraq settentrionale, stanno organizzando unità combattenti che raccolgano i volontari cristiani. «Dovrebbero venire impiegate specialmente per la difesa dei villaggi cristiani nella piana di Ninive», specifica la stampa irachena, che due volte nell’ultima settimana ha riportato la notizia.
A Einkawa, zona cristiana di Erbil (capitale della regione curda), la municipalità locale ha già raccolto una cinquantina di nomi di aspiranti reclute. «Per il momento si tratta solo di un progetto, di un’idea. Non c’è ancora nulla di concreto. So che parecchi giovani vorrebbero offrirsi volontari. Tra loro siriaci cattolici, siriaci ortodossi, caldei e anche assiri. E’ importante capire che non si tratta di una milizia indipendente. L’idea è che i cristiani siano integrati con i militari curdi, che a loro volta sono coordinati con l’esercito iracheno, che fa capo ai comandi centrali di Bagdad», sottolinea per telefono Bashar Warda, arcivescovo della diocesi caldea di Erbil. La preoccupazione delle gerarchie ecclesiastiche locali è evitare di creare milizie confessionali autonome sul modello della Falange cristiana libanese. Warda ribadisce che la Chiesa non ha alcun ruolo nell’iniziativa. Eppure, non nasconde la necessità di garanzie per la difesa della culla storica del cristianesimo orientale, la piana di Ninive e la regione di Mosul. Da agosto queste sono aree cadute sotto il controllo dei jihadisti. Di continuo giungono notizie di danni alle basiliche, ai mausolei e alle proprietà cristiane. Ricorda Warda: «Nella sola Ninive sono situati 14 villaggi cristiani. Sono a meno di un’ora d’auto da Erbil, ma nessuno di noi può ancora andarci. I loro 125 mila abitanti hanno trovato rifugio da noi e presso l’arcivescovado di Dohuq».
Non è del resto strano che le minoranze pensino a difendersi. Gli eventi degli ultimi mesi e l’allargamento dei raid della coalizione guidata dagli americani contro le milizie jihadiste in Siria fanno temere un aumento delle violenze. Proprio ieri il presidente Barack Obama ha ammesso: «L’intelligence Usa ha sottostimato quello che stava accadendo in Siria, l’epicentro per i jihadisti di tutto il mondo». I leader di Al Nusra, le brigate filo Al Qaeda in Siria, hanno appellato i militanti all’estero a compiere attentati in tutti i Paesi che compongono la coalizione. Al Nusra, che pure in passato ha periodicamente combattuto contro lo Stato Islamico, è stata ripetutamente bombardata dall’aviazione alleata nell’ultima settimana. Colpite inoltre altre tre raffinerie artigianali controllate dai jihadisti nella Siria orientale e la regione della cittadina di Kobane presso il confine turco.
Lorenzo Cremonesi
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