In Scozia è il giorno del giudizio I sondaggi: la vittoria al «no»

by redazione | 19 Settembre 2014 8:17

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EDIMBURGO — Elisabetta è nell’amato amato castello di Balmoral nell’Aberdeenshire. E lì fra le 6.30 e le 7.30 del mattino di venerdì (ora britannica) saprà se dovrà inserire il doloroso capitolo della secessione scozzese nella sua lunga storia di regina o se avrà la certezza che il Regno resta Unito. Poi deciderà se tornare a Buckingham Palace e, come sostengono i corrispondenti reali, se rivolgersi con un messaggio al Paese. Lo fece nel 1999 con i sudditi australiani quando votarono e bocciarono il referendum per la repubblica. Dovrebbe ripetersi anche questa volta con una formula che suona: «Accetto e rispetto il risultato». La democrazia è democrazia.
Sua maestà, nei giorni scorsi, ha invitato gli scozzesi a riflettere bene. E gli scozzesi hanno riflettuto, si sono messi in coda, hanno votato con enorme partecipazione. E a urne chiuse gli ultimi due sondaggi di YouGov e del tabloid Sun concordano nel dare gli unionisti avanti di otto punti, 54 a 46. Il direttore di YouGov si è sbilanciato in nottata: «Al 99% ha vinto il no». Diffidare è sempre necessario ma ben sei rilevamenti nel giro di 24 ore hanno stabilizzato la vittoria, non il trionfo, dello schieramento contrario al divorzio da Londra. Nella sostanza la Scozia appare divisa quasi a metà, lo scarto è minimo.
«Il D-day per l’Unione» ha titolato il Times . «Giorno del destino» hanno titolato insieme il Guardian e Scotsman . L’Union Jack e la croce bianca di San Giorgio su sfondo azzurro per l’intera prima pagina del Daily Telegraph . Sintesi di una data, 18 settembre, che segna un punto di svolta per il Regno Unito. I leader tory, laburisti e liberaldemocratici hanno battuto porta a porta le città e i villaggi per convincere gli indecisi. L’indipendentista Alex Salmond ha lanciato i suoi supporter con auto, pullmini, vessilli, megafoni. «Siamo nelle mani del popolo scozzese e non c’è nulla di più sicuro che essere nelle mani del popolo scozzese», ha ottimisticamente rilanciato il numero uno separatista. A Edimburgo sono sbarcate delegazioni dei «fratelli» catalani, baschi, corsi, sardi e veneti, convinti che «saremo noi a fare la grande festa». Ma lo smash migliore a favore della secessione lo ha messo a segno il campione del tennis Andy Murray. A Wimbledon, nel 2013 quando aveva vinto dopo un’attesa per il Regno Unito durata 77 anni, si era avvolto nel drappo britannico. Ieri ha usato Twitter per esternare il suo pensiero da scozzese: «Let’s do it». Ovvero ha abbracciato la causa di Alex Salmond.
Il sì è più visibile nella strade e davanti ai seggi. Il no è silenzioso. Maggioranza allegra e chiassosa? O maggioranza silenziosa? Gli scozzesi votano con molta attenzione ai problemi concreti. I sondaggi dicono che 70 sostenitori su 100 dell’indipendenza non badano alla motivazioni nazionaliste e patriottiche, pensano alle opportunità, alle «conseguenze pratiche». E ancora più alta (78 su 100) è la percentuale di chi si esprime per l’unione avendo come metro di giudizio sempre le «conseguenze pratiche». Mediamente, 19 scozzesi su 100 affidano la scelta nell’urna al cuore, alla identità nazionale. Sono più indipendentisti gli uomini, se fosse per loro (53 su 100) la Scozia sarebbe indipendente. Le donne (58 su 100) scelgono lo status quo: staccarsi porta incertezza, niente secessione. I giovani sono separatisti in maggioranza. I 65enni e oltre credono che sia meglio proseguire il cammino con Londra.
«Ce la giochiamo sul filo di lana» aveva ammesso Alistair Darling, che ha diretto la campagna di «Better Together», il fronte antiseparazione. Chi aveva puntato sul «fattore paura» come unico elemento condizionante della scelta è smentito dalla fotografia dell’elettorato: il 58% degli scozzesi si è espresso guidato dal sentimento di speranza, solo il 38 dalla paura. La Scozia ha votato con passione e con timore, con fiducia e con realismo. Da oggi indipendentisti e unionisti torneranno a lavorare assieme «nell’interesse della Scozia e del Regno Unito» è scritto nell’accordo che consentì nel 2012 il referendum. E domenica i leader dei due fronti insieme parteciperanno alla funzione religiosa della riconciliazione.
Fabio Cavalera

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