Isis, la Cia ha rifatto i conti «Oltre 30 mila i terroristi»

by redazione | 13 Settembre 2014 18:19

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WASHINGTON — Il Washington Post, citando fonti dell’intelligence, scrive: l’Isis è composto da circa 17 mila uomini. Di questi, 3 mila hanno rappresentato l’avanguardia che ha conquistato Mosul. Poi sono seguiti altri, compresi molti ex baathisti, vicini al movimento dell’ex numero due di Saddam, Izzat Ibrahim.
11 settembre. La Cia rivede le sue stime sull’Isis e parla di un numero che oscilla tra i 20 mila e i 31.500 ribelli. Gli stranieri potrebbero essere 15 mila, in rappresentanza di 80 nazionalità. È chiaro che la «forchetta» tra il minimo e il massimo è importante. Difficile dire quale sia la cifra esatta, troppo fluido il quadro.
In base alle analisi americane l’Isis avrebbe ampliato i suoi ranghi grazie ai seguenti fattori: 1) Ha capitalizzato le vittorie nel nord-est della Siria e nella parte occidentale dell’Iraq. 2) Ha l’appoggio di parte dei clan tribali sunniti. 3) Gestisce le zone conquistate con mano dura ma garantisce i servizi essenziali (dai panifici alla scuola). 4) Non ha per ora vanificato il patto con i baathisti, legame agevolato dal fatto che alcuni luogotenenti del Califfo sono ex ufficiali del regime.
Sulla valutazione della Cia pesano però altri elementi. Certamente esiste l’esigenza di enfatizzare la minaccia agli occhi di un’opinione pubblica distante dalla crisi. Ma non bisogna sottovalutare la difficoltà per gli agenti di decifrare la realtà dell’Isis. È stata la stessa intelligence ad ammettere di essere in ritardo. Per mancanza di uomini sul terreno e la scarsa collaborazione dei partner — parola grossa — locali. Più interessati alle loro manovre che alla necessità di far fronte alla minaccia. Per cercare di compattare uno schieramento sfilacciato, la Casa Bianca ha nominato un coordinatore esperto: il generale a riposo John Allen. Un marine che ha guidato molte operazioni nella provincia di Anbar, regione dove l’Isis gode di una forte popolarità.
Ora il Pentagono deve recuperare terreno. L’aviazione ha intensificato i voli-spia sul territorio siriano. Non tanto per studiare le posizioni dell’Isis, ormai note, quanto per raccogliere elementi in vista di attacchi finalizzati all’eliminazione dei capi. I jihadisti hanno iniziato a disperdersi e dunque serve tempo per costruire «l’istruttoria» con spostamenti possibili, vie, aree di interesse. A questo fine verranno schierati velivoli ad hoc sulla pista di Erbil, Kurdistan, insieme ad un centinaio di specialisti. A loro si aggiungeranno i membri delle unità d’elite e alcuni ufficiali. I primi aiutano, da terra, le incursioni. I secondi sono inseriti nell’esercito iracheno «a livello di Brigata». Saranno i consiglieri di una campagna che non convince gli esperti. L’ex direttore dell’Nsa e generale d’aviazione, Michael Hayden, ha commentato con un graffio: «Affidarsi al solo potere aereo è come il sesso casuale: ti gratifica e chiede poco impegno».
Gli Usa dovranno colpire l’Isis in Siria senza però aprire la strada al regime di Assad. In alcune località, come Aleppo, l’equilibrio in atto potrebbe essere messo in discussione dalle incursioni. Washington spera che l’eventuale vuoto sia colmato dai ribelli «buoni», arruolati in funzione anti-Califfo. Per questo gli Usa si affidano ai servizi sauditi e giordani che hanno in quota alcune migliaia di insorti ora sottoposti a verifiche per capire se siano fidati o meno.
Tutto è comunque relativo. Siamo in Medio Oriente. Ieri alcune brigate ribelli hanno firmato una tregua con l’Isis nella regione di Damasco. E non mancano gli intrighi come l’uccisione dell’intera leadership della fazione Ahrar as Sham. Capi spazzati via da una misteriosa esplosione il 9 settembre. Ricorsi: il 9 settembre 2001 due kamikaze assassinavano il leggendario Massud, l’avversario dei talebani e alleato degli Usa. Attentato per scompaginare lo schieramento avversario alla vigilia della strage delle Torri Gemelle.
Guido Olimpio

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