Italia sorpassata dal Portogallo in competitività

Italia sorpassata dal Portogallo in competitività

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MILANO – Come se la cava l’Italia in tema di competitività? Non bene, a leggere il rapporto stilato come ogni anno dal World economic forum.
L’indagine considera diversi fattori che alla fine si condensano in una posizione in classifica. L’Italia si conferma quarantanovesima su 144 Paesi. Esattamente come l’anno scorso. Una stabilità che ribadisce la nostra collocazione tra le economie europee più deboli. Fanno peggio solo Paesi come Bulgaria, Romania e Grecia. Quest’anno ci hanno superato anche Lettonia e Portogallo. Inoltre restiamo sempre lontanissimi leader europei in materia di competitività. Parliamo dei quattro entrati nella top ten: la Finlandia al quarto posto, la Germania al quinto, l’Olanda all’ottavo e il Regno Unito al decimo. Difficili da agganciare anche il Belgio (18esimo posto), l’Austria (21), la Francia (23) e la Spagna (35).
Da notare che l’Unione europea è esclusa dal podio, occupato nell’ordine da Svizzera, Singapore e Stati Uniti. Viene da sé che per l’Italia mettersi in competizione rischia di essere un esercizio poco esaltante anche fuori dal vecchio continente. Per fare qualche esempio, rimaniamo in coda dopo Oman e Turchia e lontano oltre quindici posizioni da Cile e Porto Rico.
Il centro studi del forum con sede a Ginevra lancia un allarme: «La salute dell’economia mondiale è a rischio: nonostante il rafforzamento della politica economica e lo sforzo dei Paesi a migliorare le riforme strutturali per aiutare la crescita».
Tornando a noi, per indagare meglio sulle ragioni del disagio italiano non resta che osservare più da vicino i parametri presi in considerazione dall’indagine. L’Italia evidenzia punti di debolezza sui fondamentali, come il funzionamento delle istituzioni (106imo posto su 144), la ridotta efficienza del mercato del lavoro (136ima), la pressione fiscale (134ima) e la criticità dell’attuale scenario macroeconomico (108ima). Tra i punti di forza, invece la sofisticatezza del business (25ima) e le dimensioni del mercato locale (12ima).
Entrando ancora più nel dettaglio degli indicatori, l’Italia è penultima al mondo – posizione 143 su 144 – per la capacità di soluzione delle cause legali ma anche per la trasparenza nelle scelte di governo, l’efficienza degli incentivi fiscali verso gli investimenti e per la capacità che il Fisco ha di aiutare la creazione di posti di lavoro. Peggio di noi solo il Venezuela.
Non basta. Pesa la valutazione sulla normativa per le pratiche di assunzione e licenziamento: qui siamo 141esimi, dietro di noi solo Zimbabwe, Sud Africa e Venezuela. Sempre in coda sono: la fiducia dei cittadini verso i politici, la facilità di accesso al credito e lo spreco della spesa pubblica (tre capitoli al 139/mo posto). Mentre, per il livello delle aliquote fiscali, il Paese è 134/mo, solo dieci posizioni dal fondo.
Le criticità evidenziate sono proprio quelle al centro del dibattito politico sulle riforme. D’altra parte, per il modo in cui viene condotta, l’indagine rispecchia molto il «sentiment» di un Paese. A «dare il voto», infatti, è un campione di manager e imprenditori (un centinaio in Italia) rappresentativo della classe dirigente di ciascuno Stato. E di questi tempi gli italiani sono i più spietati giudici di se stessi. In Italia la ricerca viene realizzata per conto del Wef dalla Sda Bocconi. «Dobbiamo tenere che la classifica rispecchia la percezione che un Paese ha di se stesso – sottolinea Paola Dubini, che coordina il progetto insieme con Francesco Saviozzi –. Come tali riflettono la nostra tendenza al pessimismo. E talvolta una certa sottostima del nostro il grado di competitività. Certo, le percezioni contano. Lo scarso orgoglio dei manager rispetto a come funziona il Paese penalizza un poco l’Italia».
Ultima annotazione: l’indagine è stata condotta in Italia nell’aprile scorso, a un mese dall’insediamento del governo Renzi. Ma la diagnosi dei problemi resta attuale.
Rita Querzé



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