Da Kiev a Teheran, l’instabilità costa Per l’Italia 36 miliardi di export in meno

Da Kiev a Teheran, l’instabilità costa Per l’Italia 36 miliardi di export in meno

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Non è che la Russia, colpita dalle sanzioni economiche dell’Occidente, la si possa sostituire come se fosse la Scozia, in quanto mercato di sbocco, terra di investimenti, bacino di compratori di beni di lusso e di turisti. In una certa misura, però, si dovrà trovare qualche alternativa. A maggior ragione, ciò vale per altri Paesi a rischio crescente: l’era del caos nel quale pezzi di mondo sembrano essere entrati sta iniziando a dare colpi significativi alla posizione internazionale dell’economia italiana; riorientare i flussi commerciali e d’investimento diventa dunque un obbligo. In uno studio inedito, la Sace calcola che l’instabilità politica ed economica in un certo numero di Paesi sia costata all’Italia, nel triennio 2011-2013, 36,6 miliardi in termini di mancate esportazioni. Dal momento che il futuro non si preannuncia più tranquillo, stare a guardare un panorama in deterioramento non è saggio.
«L’Italia non è un Paese con una particolare forza geopolitica – dice Alessandro Castellano, amministratore delegato della Sace, la società di credito e di assicurazione all’ export che accompagna l’internazionalizzazione delle imprese italiane –. Il nostro interesse, nelle relazioni internazionali, è molto determinato dall’import-export. Purtroppo, c’è una certa ignoranza della geografia economica del mondo: il nostro studio vuole aiutare a colmarla, fornire un orientamento per cogliere le tendenze». L’analisi della Sace da un lato traccia una mappa dei rischi globali con i quali devono confrontarsi le imprese; in parallelo, indica che, ri-orientando l’export verso Paesi stabili e che offrono opportunità, l’Italia potrebbe aggiungere al proprio export 38,5 miliardi tra il 2014 e il 2016, neutralizzando ciò che ha perso nei tre anni passati a causa delle guerre e del deterioramento dell’economia internazionale.
Gli analisti della Sace hanno individuato un gruppo di Paesi che presentano per chi vi esporta o ci fa business un rischio alto, stabile o in peggioramento. Si tratta di Egitto, Grecia, Libia, Russia, Siria, Tunisia, Argentina, Bielorussia, Iran, Iraq, Pakistan, Ucraina, Uganda, Uzbekistan, Venezuela. È da questo blocco, che pesa per il 9% sull’export italiano, che sono derivate le perdite di 36,6 miliardi: 17,2 miliardi per effetto di crisi geopolitiche (15,9, in particolare, come conseguenza delle primavere arabe), 11,5 a causa della crisi economica (9,8 solo da Grecia e Ungheria) e 7,9 dalla Russia. Quando si parla di rischio dal punto di vista di un’impresa si intende rischio di credito, cioè – nella lettura della Sace – «l’eventualità che la controparte estera non sia in grado o non sia disposta a onorare le obbligazioni derivanti da un contratto commerciale o finanziario». Rischi che derivano da mutate condizioni economiche o da un aumento dell’instabilità politica che può portare a violenze o a una crescita degli espropri, a maggiori vincoli sul trasferimento dei capitali, alla violazione di contratti.
«L’obiettivo dello studio sui rischi globali – dice Castellano – non è quello di influenzare le politiche. Piuttosto è l’offerta di uno strumento utile per valutare le tendenze, per leggere la realtà, utilizzabile dalle imprese come dalla politica. Il sistema economico italiano deve muoversi meno sulla base della pancia e più sull’analisi del mondo».
Nella classifica elaborata dalla Sace – nella quale assegna zero punti all’assenza di rischio (Norvegia, per dire) e cento al rischio assoluto (Somalia) – i Paesi che hanno maggiormente peggiorato la loro posizione politica tra il 2010 e il 2014 sono la Libia, da 41 a 80, la Grecia, da 40 a 76,la Siria, da 60 a 94, Cipro, da 35 a 64, l’Iran, da 76 a cento. Le opportunità per bilanciare queste perdite vengono invece da Paesi a rischio medio ma stabili o in miglioramento. Gli analisti individuano il cuore di questo recupero potenziale in cinque Paesi: Polonia e Cina che da sole potrebbero costituire la metà dei 38,5 miliardi di incremento dell’export; India e Turchia che potrebbero aggiungere un altro 23%; e l’Algeria, «uno dei pochi Paesi oltre il Mediterraneo con un livello di stabilità accettabile» che potrebbe contribuire a un aumento delle esportazioni italiane di 5,5 miliardi tra il 2014 e il 2016. Anche Paesi come Messico, Malaysia, Perù, Sudafrica, Indonesia, Marocco sono considerati mercati con buone potenzialità. Gran parte del «ri-orientamento» dell’ export, l’80%, secondo Castellano, potrebbe avvenire in mercati che le imprese italiane già conoscono ma non penetrano a sufficienza. «La Germania – dice a titolo di esempio – esporta per quasi 1.200 miliardi, l’Italia per 400; un rapporto di tre a uno che però diventa di sette a uno nel caso della Cina», economia fondamentale (forse più della Russia) nella quale l’Italia non si impegna a sufficienza.
Danilo Taino



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