L’ azienda in classe

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LA scuola italiana si fa azienda. La riforma di governo, “La Buona scuola” appena sfornata, chiede alle imprese di pagare una fetta d’istruzione pubblica. Per ricostruire, un esempio, i laboratori degli istituti tecnici ormai musei della storia industriale fin qui insegnata. Le aziende vanno oltre. Sono pronte a offrire agli istituti superiori i loro ingegneri come professori, i fisici come tutor. Le teacher companies per ora si accontentano di avere ragazzi formati e subito produttivi, non più pulcini con gli occhi sgranati in azienda davanti a un tornio, una stampante in 3D. L’ultimo tabù — “scuola pubblica e finanziata dallo Stato”, che prima di essere un totem è stato un principio che ha retto l’istituzione da prima di Giovanni Gentile — ora viene attaccato dal governo di Matteo Renzi. Rischia di essere abbattuto, visto l’impegno. Delle 126 pagine che riformeranno la trasmissione del sapere da qui a luglio 2016, ventuno sono dedicate alla spinta del sistema scolastico verso l’occupazione lavorativa e, tra queste, il capitolo 6.2 è dettagliato tutto ai finanziamenti privati.
Scrivono i tecnici del ministero dell’Istruzione: «Le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola, la più grande e preziosa rete pubblica del paese». Oggi il sapere italiano costa allo Stato 55 miliardi l’anno. «Nella scuola come nella ricerca sommare risorse pubbliche a interventi dei privati è l’unico modo per tornare a competere ». Quindi, «non c’è nulla da temere dall’idea che, a certe condizioni, risorse private possano contribuire a trasformare la scuola in un vero investimento collettivo ».
Il sottosegretario Gabriele Toccafondi, delega alla scuola-lavoro, dice: «Siamo partiti da un dato semplice e tragico: in Italia l’abbandono scolastico raggiunge negli istituti tecnici punte del 30 per cento. La questione del lavoro, con il 43% di disoccupati giovani, è centrale per spiegare l’emorragia in classe. In Italia fatichiamo a mandare in azienda per quattro settimane i ragazzi al penultimo anno degli istituti tecnici. Partiremo con duecento ore di tirocinio l’anno, nelle ultime tre stagioni. Costerà cento milioni. Ci vuole, poi, un Piano Marshall dei laboratori. Oggi sono chiusi, non ci sono tecnici per farli funzionare. Nei primi due anni i ragazzi dei tecnici non ci si avvicinano. Frequentare un alberghiero, un agrario, un meccanico senza fare laboratorio è inutile. Ci sono 300 milioni di euro per i laboratori e serve l’aiuto, anche economico, delle imprese priva di te».
Il governo, e il sottosegretario Toccafondi, guardano alla Germania dove un diplomato tecnico entra subito in fabbrica a 2.500 euro il mese, ma prima hanno esplorato una realtà che funziona anche da noi: i 65 Istituti tecnici superiori italiani (gli Its fondati dalla legge Gelmini) già offrono a 5.500 diplomati un biennio di specializzazione pre-produttiva successo: il 75% di chi arriva in fondo trova un lavoro coerente e a tempo indeterminato in pochi mesi, contro una media italiana del 60%. Qui, istituti meccanici, agroalimentari, nautici, metà delle ore di insegnamento in classe è affidata a prof prestati dall’industria, un terzo delle lezioni devono essere di tirocinio attivo. Avamposti di quel che potrà diventare la scuola italiana in un fu-
turo ravvicinato, gli Its sono governati da una fondazione con aziende e camere di commercio a fianco di ministeri ed enti locali. Negli Its dove si insegna la tecnologia del mare i costosi simulatori di navigazione sono dati in concessione dalle compagnie.
A fine luglio la legge Carrozza, che ha fatto partire gli stage in azienda, è diventata operativa. E tra dieci giorni sette scuole da Nord a Sud offriranno all’Enel classi sperimentali dove ogni tre settimane di insegnamento frontale ce ne sarà una quarta trascorsa in azienda. Il governo Renzi vuole arrivare al primo settembre 2015 con una fila di aziende medio-piccole, enti pubblici, realtà no profit e artigianali (le scuole bottega) pronte a ospitare migliaia di scolari: oggi sono meno dell’un per cento le imprese che offrono stage. Gli undici milioni di euro stanziati nel 2014 per l’alternanza scuola-lavoro diventeranno cento milioni e gli stage sul lavoro, a cui parteciperanno i prof, saranno obbligatori. Già. Ora le imprese faticano a trovare competenze nell’industria elettronica e informatica, diplomati commerciali e tecnici nei settori del legno, del mobile, dell’arredamento. Il 40% della disoccupazione in Italia non dipende dal ciclo economico, ma dalla distanza tra domanda e offerta.
C’è chi il sistema duale tedesco (scuola e lavoro) l’ha già importato. Il prossimo 21 settembre 48 ragazzi del biennio finale di due istituti tecnici di Bologna si specializzeranno a scuola, pagati 600 euro al mese dalla Volkswagen. La Ducati, di suo, ha aperto il laboratorio di fisica interno all’azienda (Borgo Panigale) alle ultime classi delle scuole superiori e ai primi due anni di università. Gratis. Ma il piano Renzi-Reggi va oltre, vuole “apertamente incentivare” l’investimento privato. “Per le scuole deve essere facilissimo ricevere risorse”. Gli istituti di istruzione superiore e i professionali potranno commercializzare servizi prodotti utilizzando i ricavi per investimenti sull’attività didattica. Al settore privato, inoltre, “va offerto un pacchetto di vantaggi graduali”. Ci si ispira al sistema anglosassone, in via di sperimentazione tra l’altro al ministero dei Beni culturali (“Art bonus”). Approda nel sistema lo “School bonus”: cittadini, associazioni e imprese che investiranno nella scuola avranno sconti fiscali. Servirà a prolungare in estate l’apertura delle sedi scolastiche. Lo “School guarantee”, invece, premierà l’investimento che crea occupazione giovanile. Ancora, il governo spinge sul microfinanziamento diffuso a favore della scuola: “Lo Stato metterà a disposizione fino a 5 milioni: per ogni euro messo dai cittadini, lo Stato ne metterà un altro”. Infine, le obbligazioni a impatto sociale, i “Social impact bonds”, contro la dispersione scolastica.



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