E l’Italia si scoprì un paese animalista a corrente alternata

E l’Italia si scoprì un paese animalista a corrente alternata

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«I FRANCESI amano i cani, ma mangiano i cavalli. Gli spagnoli amano i cavalli, ma mangiano le mucche. Gli indiani amano le mucche, ma mangiano i cani ». E gli italiani amano gli orsi, dopo averli ammazzati. La parte tra virgolette è una citazione dal libro dello scrittore americano Jonathan Safran Foer «Eating animals» (in italiano, oscuramente: «Se niente importa»).
L’aggiunta prosegue il cortocircuito delle contraddizioni di una coscienza animalista universalmente ondivaga, a cui questo Paese non ha saputo fare eccezione. Quello che è corso ieri lungo la spina dorsale italiana, dopo l’uccisione dell’orsa Daniza è parso un fremito: violento e incontrollato. Poi il brivido passa, la pelle s’alliscia e si va al ristorante twittando d’altro.
Come spesso accade: la causa è giusta, le sue espressioni discutibili.
Partiamo dalla fine. Nei boschi del Trentino viene ammazzata (giustiziata o con preterintenzione) un’orsa che era stata lì portata per ripopolare quegli stessi boschi di orsi, appunto, non di funghi. Dove non c’è logica, non c’è destrezza. La reazione all’evento è emotiva e travolgente. Minacce di morte al fungaiolo ferito che innescò la caccia, strumentale richiesta di dimissioni del ministro dell’Ambiente (di cui appuriamo nella circostanza le generalità).
Più, come appare (ma non è) inevitabile nell’era dei social, manciate di ironia e una spruzzata di cinismo. La morte dell’orso è sempre tragica, le reazioni a volte virano sul comico.
Nel 2006 i tedeschi uccisero Bruno, che aveva sconfinato partendo dall’Adamello e la vittoria azzurra in semifinale a Dortmund fu considerata una vendetta voluta dal cielo. L’orso è portatore di memorie e fantasie. Ci ricorda l’infanzia dei peluche e dei cartoni animati e allude a un desiderio di vita naturale e selvaggia che si coltiva intrappolati fra pareti e si esprime con supporti tecnologici. Con lui (o lei) si uccidono i fantasmi dell’innocenza e della libertà. Che lo sdegno eguagli o superi quello per un reporter dilaniato in zona di guerra o una suora massacrata in Africa è un paradosso, ma di quelli scontati: l’orso appartiene al nostro caro immaginario, reporter e suora abitano lontane e sconosciute periferie di realtà. Le stesse in cui vengono uccise ogni giorno migliaia di animali per il nostro nutrimento, dopo essere stati allevati in condizioni non solo vergognose ma igienicamente inaccettabili per loro e per l’ignaro fruitore di quelle carni. Si prepara una grande marcia contro il riscaldamento globale, ma pochi dicono (e quindi quasi nessuno sa) che la prima causa non è l’uso di mezzi di trasporto, ma l’allevamento industriale.
Si diffonde una coscienza animalista, ma a corrente alternata: ogni tanto un sussulto. Possibilmente, quando i riflettori sono accesi.
Come ogni causa, anche questa ha tre nemici: il sensazionalismo, la faziosità, l’integralismo.
Il consenso si costruisce educando e informando. Invece parte la denuncia per maltrattamenti a Luciana Litizzetto, colpevole di aver portato un maiale (drogato?) in tv per irridere il porcellum.
La replica fa più ridere della battuta.
La battaglia dovrebbe essere combattuta da un fronte compatto e trasversale, invece si disperde in una miriade di sigle e diffidenze. Chi è di destra vede l’attivismo come un passatempo per cattocomunisti no tav. Chi è di sinistra irride l’impegno di Michela Brambilla, troppo appariscente e berlusconiana per essere genuina.
Ma l’ostacolo peggiore è l’integralismo. Quando chiesi a Safran Foer se ci fossero state reazioni negative al suo libro pensavo alle industrie alimentari. Rispose: «No, no, quelle han tutto l’interesse a tacere, a non creare dibattiti. Ad arrabbiarsi son stati i difensori dei diritti degli animali. Per loro non sono stato abbastanza assoluto, ho detto solo che bisogna mangiare meno carne e allevata igienicamente. Ma io non sono un talebano».
Non essere talebani è uno svantaggio in quest’epoca in cui il confronto d’opinioni fa ricorso alla ragionevolezza quanto due curve in un derby calcistico. Eppure, fino a prova contraria, appare evidente che è rischioso affidarsi senza riserve alla natura o alla provvidenza: si può finire sbranati o sgozzati. Il ragazzo che andò «Into the wild» non è mai tornato indietro, e così chi si avventura «in terre selvagge» del pensiero che non riconoscono più il principio di non contraddizione. Ripopolare e non controllare è assurdo quanto credere che gli animali siano tutti figli di Walt Disney. O trascurare che mentre ancora ci si commuove per Deniza, altre creature soffrono e muoiono non solo invano ma per danneggiare involontariamente la nostra salute, dimostrando la validità dell’affermazione di George Orwell: «Gli animali sono tutti uguali, alcuni più degli altri».



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Abbiamo visto sfilare uomini e donne con emozione e fermezza, pacifici e decisi, laici o religiosi di ogni credo e di ogni genere

1 comment

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  1. Gianni Sartori
    Gianni Sartori 29 Ottobre, 2014, 19:29

    Butto giù come viene.
    Il ragazzo che andò in Alaska cacciava animali di ogni genere (ci ha lasciato le foto) e pare sia morto per aver ingerito un vegetale confuso con un altro. Quindi non c’entra con l’animalismo e nemmeno con possibili sbranamenti. Sul fatto che “alcuni animali sono più uguali”, la metafora orwelliana viene citata a sproposito. Era una denuncia delle degenerazioni staliniste (dall’uguaglianza proletaria rivoluzionaria del ’17 si erano gradualmente differenziati burocrati e tecnocrati, come i maiali della famosa fattoria).

    La questione è: vogliamo continuare a sfruttare, massacrare, calpestare altri esseri senzienti, capaci di grandi sofferenze? Vogliamo almeno porci il problema(come compagni intendo)?

    Chi si considera di sinistra non può, a mio modesto avviso, eludere all’infinito la questione dell’antropocentrismo, una visione del mondo totalitaria (di origine religiosa, anche quando viene adottata da laici e comunque propedeutica allo sfruttamento e all’oppressione dell’uomo sull’uomo, l’allevamento alla schiavitù, la macellazione e la caccia alla pulizia etnica, leggersi “Un’eterna Treblinka”). Quanto agli animalisti di destra sono, sempre a mio avviso, o infiltrati o sdoppiati, come i fasci che vorrebbero “adottare” Bobby Sands e CHE Guevara). Ricordo che noti personaggi come Angela Devis e Sakine Cansiz, la compagna curda assassinata a Parigi, sono vegane “per ragioni etiche”. E Barry Horne, prigioniero politico in sciopero della fame contro la vivisezione, era un compagno anarchico.
    E poi, ma un poca di compassione, cristo!
    “Con gli oppressi contro gli oppressori, SEMPRE!”
    ciao
    GS

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