Napoli. «Lo Stato quando c’è ci uccide»

by redazione | 7 Settembre 2014 18:06

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Alle tre del pome­rig­gio all’ingresso del parco dove vive la fami­glia di Davide Bifolco c’era già una pic­cola folla. La gente del Rione Tra­iano non si è mai allon­ta­nata del tutto. «Era amico nostro, un nostro fra­tello, il cara­bi­niere è come se avesse spa­rato a tutti noi. Non lo dimen­ti­che­remo mai», rac­conta un gruppo di coe­ta­nei, lacrime e rab­bia, intorno al pic­colo altare orga­niz­zato sulla strada: un car­ton­cino giallo su cui hanno incol­lato una foto di Davide, in basso una com­po­si­zione di fiori e, tra il volto e i petali, la scritta «lo Stato non ci difende. Difendiamoci».

Alle 16 arriva la fami­glia cir­con­data dagli amici del ragazzo ucciso da un cara­bi­niere gio­vedì notte a via Cin­thia. La ver­sione uffi­ciale è che in tre su un moto­rino non si sareb­bero fer­mati all’alt, i mili­tari avreb­bero rico­no­sciuto nel gruppo Arturo Equa­bile, ven­ti­treenne accu­sato di furto, lati­tante dallo scorso feb­braio. Li hanno inse­guiti e rag­giunti, Equa­bile sarebbe riu­scito a scap­pare (tut­tora non si trova), Davide e l’amico diciot­tenne Sal­va­tore Triunfo sono stati immo­bi­liz­zati. Durante il fermo sarebbe par­tito «acci­den­tal­mente» un colpo che ha rag­giunto il ragazzo al cuore.

Secondo amici e testi­moni non c’è stato nes­sun acci­dente: il cara­bi­niere ha mirato al cuore e, quando era a terra in fin di vita, ha amma­net­tato Davide pre­men­do­gli il viso in un’aiuola. Ieri poi si è dif­fusa la noti­zia che il respon­sa­bile dello sparo sarebbe tren­tenne e non un ven­tenne, come dif­fuso venerdì. Cioè un mili­tare esperto e non una recluta. A que­sto si aggiunge la testi­mo­nianza di un altro ragazzo, Enzo, che sostiene di essere il terzo che gui­dava lo scoo­ter: «Il lati­tante non c’è. Sono io che sono scap­pato. Ci hanno rin­corso da die­tro, ci hanno tam­po­nato e but­tato in aria. Per paura sono scap­pato. Non ci siamo fer­mati per­ché non ave­vamo la patente». Que­sto è quello che cre­dono tutti nel rione: «Non c’è nes­sun lati­tante rico­no­sciuto dalla pat­tu­glia – urla­vano ieri -, sono tutte fes­se­rie. Devono dire la verità!». Per capire cosa pensa il quar­tiere basta leg­gere le scritte apparse nella notte. A terra sull’asfalto c’è segnato «Acab. Davide vive». Sui muri «Cara­bi­niere assassino».

Una folla di circa tre­cento per­sone si mette in mar­cia intorno alle 16, ad aprire il cor­teo lo stri­scione «Verità e giu­sti­zia per Davide». La madre regge la foto del figlio, il fra­tello Tom­maso è scon­volto: «I delin­quenti sono loro, dovreb­bero tute­larci. Quel cara­bi­niere deve pagare». I parenti, le mamme del quar­tiere cer­cano di cal­marlo men­tre la mani­fe­sta­zione per­corre strade e viali del Rione Tra­iano. È come una chia­mata a rac­colta, la gente scende per strada, si mette in mar­cia o si ferma sul ciglio a urlare: «Giu­sti­zia, giu­sti­zia». Dai bal­coni applau­dono, tutti hanno gli occhi rossi dal pianto. Il cor­teo ormai è un fiume umano che decide di pun­tare alla sta­zione dei cara­bi­niere di zona, in piazza Gio­vanni XXIII.

La mani­fe­sta­zione è ormai una rivolta di quar­tiere, scor­tata da gruppi in moto­rino che suo­nano il clac­son come una com­pa­gnia che si pre­senta a chie­dere conto. La mamma di Davide, in testa al cor­teo, riba­di­sce: «Deve mar­cire in car­cere. Non deve avere un’ombra di pace per tutta la vita». Tom­maso urla: «Cosa hai pro­vato quando lo hai ucciso? La notte ti sei addor­men­tato?». La folla si stringe intorno alla fami­glia, la signora Flora si sente male, sviene anche la cugina di Davide. Una donna del folto gruppo che apre la mani­fe­sta­zione ce l’ha con i gior­na­li­sti: «L’hanno ammaz­zato come un cane. Non vogliamo ven­detta ma giu­sti­zia, scri­ve­telo!». L’intero quar­tiere scan­di­sce: «Davide vive». Un’auto azzurra viene assal­tata, «è della Digos» urlano, prima che rie­sca a scap­pare alla folla.

L’autopsia e l’esame bali­stico domani dovreb­bero chia­rire la dina­mica della morte. Ele­menti signi­fi­ca­tivi potreb­bero arri­vare dalle imma­gini regi­strate dalle tele­ca­mere col­lo­cate lungo il per­corso, dal Rione Tra­iano fino a via Cin­thia, dove si è con­su­mata la tra­ge­dia. I cara­bi­nieri del Nucleo inve­sti­ga­tivo di Napoli, ai quali i magi­strati hanno affi­dato le inda­gini, hanno veri­fi­cato che le video­ca­mere del comune sono tutte fuori uso. Ma nes­suno ha fidu­cia nelle isti­tu­zioni, del resto nes­sun rap­pre­sen­tante dello Stato si è pre­sen­tato. Per­sino le forze dell’ordine si ten­gono lon­ta­nis­sime dalla rab­bia popo­lare. Tre blin­dati della poli­zia cir­con­dano l’ingresso della sta­zione dei cara­bi­nieri come fos­sero indiani asse­diati dalle truppe yan­kee.
Un ter­ri­bile acquaz­zone si abbatte sul cor­teo, c’è chi torna a casa e chi arriva lo stesso in piazza. Una pre­senza minac­ciosa ma silen­ziosa, sfi­dando i mili­tari a uscire.

Quando final­mente il cielo si rischiara, in circa tre­cento deci­dono di tor­nare a via Cin­thia, dove Davide è morto, per bloc­care l’ingresso della tan­gen­ziale. La poli­zia prova a discu­tere ma non è il pome­rig­gio per le media­zioni. Ma non è nep­pure è la gior­nata giu­sta per cari­care. Così parte il lan­cio di lacri­mo­geni evi­tando qual­siasi con­tatto con i mani­fe­stanti che, intorno alle 19, deci­dono di libe­rare la strada. «Non ci fer­me­remo qui e non rimar­remo chiusi nel Rione Tra­iano – assi­cura Pie­tro Ioia, zio del ragazzo -, vogliamo por­tare la bat­ta­glia per la verità e la giu­sti­zia nei palazzi del potere, al tri­bu­nale, in regione. Dove sono gli asses­sori alle poli­ti­che sociali? Qui le fami­glie si arran­giano, magari lavo­rano tutti e due i geni­tori, i ragazzi cre­scono senza essere gui­dati, per neces­sità. Lo Stato o ti scheda per una fes­se­ria, e ti rovina la vita, oppure addi­rit­tura di uccide e poi non vuole nep­pure fare chia­rezza. Non ci fer­me­remo qui».

La gior­nata fini­sce con i geni­tori che fanno un appello: «Nostro figlio deve essere ancora sep­pel­lito, nes­suno, e dico nes­suno, deve sen­tirsi auto­riz­zato a com­piere atti di vio­lenza anche ver­bale in suo nome. Chi vuole bene a Davide deve rispet­tarlo. Noi chie­diamo sol­tanto giu­sti­zia — aggiun­gono — chi usa la vio­lenza in suo nome non sa quanto danno fa a lui e alla nostra famiglia».

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