Ucraina, si combatte nell’Est bombe in aeroporto a Donetsk è giallo sulle armi date a Kiev

by redazione | 8 Settembre 2014 9:10

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MOSCA . Troppo difficile, tenere a bada questo partito della guerra. La labile tregua siglata a Minsk è strattonata dall’irrequietezza delle bande armate, da volontari e mercenari che né Kiev né il frastagliato comando ribelle, o il Cremlino, riescono a controllare (non volendo credere siano essi stessi a suggerire o ordinare di rompere il cessate il fuoco). Si spara all’aeroporto di Donetsk; ci si massacra nei dintorni di Mariupol, dove insieme alle anime di soldati, volontari e mercenari la guerra si è presa una «mamma con due bambini». A Spartak, nord di Donetsk, le scaramucce sono diventate bombe, e qualche casa non esiste più.
Nuovi lapilli sulle fascine, intanto: Kiev ha annunciato che durante il vertice Nato alcuni Paesi tra cui l’Italia (con Usa e Francia, Polonia e Norvegia) «aiuteranno l’Ucraina fornendo armi». Parole che Roma ha subito
corretto: solo «elmetti e giubbotti antiproiettile». Oggi l’Ue dovrebbe varare le nuove sanzioni contro Mosca, che aggiornano in senso accrescitivo le precedenti. Mosca ha già annunciato che reagirà con durezza. «Siamo pronti a fare un passo indietro se tiene la tregua», si cautela il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ma non c’è ottimismo. Il ponte sul fiume Kwai, in questa guerra di bande, è Mariupol, il porto in un crocevia strategico tra la frontiera russa e la Crimea. Da quando gli operai dell’oligarca Akhmetov cacciarono il manipolo di ribelli che aveva preso la città, liberando le barricate, Mariupol era tornata una tranquilla e operosa città industriale di 500mila persone, lontana dal clamore della guerra.
Improvvisamente, mentre Poroshenko e Putin si stringevano la mano a Minsk è diventata il grande obiettivo da conquistare o da difendere.
Le truppe molto ben armate dei ribelli, evidentemente ben foraggiati da oltre confine, sono a una decina di chilometri dalla periferia, verso Novoazovsk, e per giorni hanno bombardato duro i check point ucraini. Dall’altra parte, accanto ai volontari che erigono difese e trincee, combatte la brigata paramilitare Azov, anima e cuore neonazista alle dirette dipendenze del ministero degli Affari interni di Kiev. Yuri Khotlubey, sindaco di Mariupol, ieri ha annunciato l’arrivo dell’artiglieria a presidiare la città sotto attacco dei ribelli. La brigata Azov, intanto, vanta un contrattacco verso Novoazovsk.
Eccola, la tregua. I Grad, i terribili lanciagranate in batteria che devastano e incendiano terreni, opere e vite umane, non tacciono. Ma anche se la diffidenza resta il minimo comune multiplo della guerra, non ci si rassegna alla cattiva ragione delle armi: il Cremlino e la presidenza ucraina tacciono, ma la diplomazia lavora sottotraccia per un nuovo incontro a Minsk che metta nero su bianco il livello di autonomia da lasciare alle regioni di Lugansk e Donetsk, uno dei punti più controversi. E si trattiene il fiato: sono ore difficilissime.

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