La vera “lettera” dell’Europa sulla competitività

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L’Europa è un malato grave. Indi­pen­den­te­mente dai toni palu­dati tipico dei rap­porti della Com­mis­sione, lo Euro­pean com­pe­ti­ti­vi­ness report, pre­sen­tato l’11 set­tem­bre, mostra tutta la dif­fi­coltà dell’economia reale. In sin­tesi, come si legge nella pre­messa, «le pro­ble­ma­ti­che da affron­tare sono ancora nume­rose e l’economia dell’Ue è ancora lungi dal rag­giun­gere i suoi obiet­tivi in ter­mini di valore aggiunto mani­fat­tu­riero, spesa in ricerca e svi­luppo, inve­sti­menti fissi lordi e inve­sti­menti in mac­chi­nari e attrezzature».

In qual­che modo il rap­porto sot­to­li­nea, senza dirlo espli­ci­ta­mente, che le poli­ti­che «finan­zia­rie» fino ad oggi adot­tate non hanno pro­dotto esiti posi­tivi, salvo che per alcuni stati che hanno goduto di un van­tag­gio di strut­tura e valu­ta­rio, in pri­mis la Germania.

Alcune con­si­de­ra­zioni di poli­tica indu­striale e di dina­mica di strut­tura sono pre­senti, e qua­lora il governo Renzi volesse rac­co­glierle sarebbe un buon ini­zio. La cosid­detta «inter­na­zio­na­liz­za­zione» delle imprese, più volte evo­cata dal governo, è diret­ta­mente pro­por­zio­nale alle carat­te­ri­sti­che (intrin­se­che) dell’impresa: attiene alla pro­dut­ti­vità, che il report lega anche alla qua­lità degli inve­sti­menti, alla spe­cia­liz­za­zione pro­dut­tiva, ai risul­tati dell’innovazione e alle carat­te­ri­sti­che di gestione delle imprese.

Più in par­ti­co­lare il report sot­to­li­nea come e quanto la dimen­sione delle imprese, uni­ta­mente alla gestione delle stesse, modi­fi­cano la capa­cità di par­te­ci­pare all’internazionalizzazione del sistema eco­no­mico. Il fisco e il costo del lavoro non sono mai citati, salvo che in spo­ra­dica apparizione.

Le carat­te­ri­sti­che essen­ziali della «inter­na­zio­na­liz­za­zione» enun­ciate dalla Com­mis­sione Euro­pea richia­mano vec­chi e ben noti pro­blemi della strut­tura pro­dut­tiva dell’Italia: imprese troppo pic­cole, poco spe­cia­liz­zate, con bas­sis­simi inve­sti­menti in ricerca e svi­luppo. Infatti, la dimen­sioni dell’impresa, il set­tore in cui essa opera e l’assetto pro­prie­ta­rio sono cru­ciali per deter­mi­nare la forza degli effetti dell’innovazione dei pro­dotti. L’innovazione incide molto di più sulla cre­scita dell’occupazione nei set­tori ad alta tec­no­lo­gia e ad alta inten­sità di cono­scenza rispetto ai set­tori a bassa tec­no­lo­gia, carat­te­riz­zati da una minore inten­sità di cono­scenza. Inol­tre, i risul­tati del report mostrano che l’innovazione dei pro­dotti tende a con­tri­buire mag­gior­mente alla cre­scita dell’occupazione nelle imprese di grandi dimen­sioni rispetto a quanto non avvenga nelle pic­cole e medie imprese (Pmi).

Se una parte dell’analisi del rap­porto della Com­mis­sione mostra alcune carat­te­ri­sti­che indi­spen­sa­bili per affron­tare la sfida della mani­fat­tura, la cre­scita della pro­du­zione tra il 2000 e il 2014, da 97 a 103, è stato con­se­guita con un calo dell’occupazione spa­ven­toso: da 121 a 99.

In qual­che modo il mer­cato (in crisi) si è inca­ri­cato di «eli­mi­nare» le imprese fuori mer­cato, con il difetto, però, di con­cen­trare la pro­du­zione indu­striale nell’area euro­ger­ma­nica. In altri ter­mini la pro­dut­ti­vità di strut­tura ha eroso la quota di occu­pa­zione neces­sa­ria a pro­durre le stesse merci, men­tre la spe­cia­liz­za­zione pro­dut­tiva, la spesa in ricerca e svi­luppo e la dimen­sione delle imprese hanno con­corso a gui­dare l’allocazione della pro­du­zione indu­striale. Ancora una volta il rap­porto non parla di fisco e costo del lavoro.

L’Europa dun­que rimane un malato grave. E sono molte le cose da fare. In par­ti­co­lare il rap­porto sot­to­li­nea la neces­sità di incre­men­tare la spesa in ricerca e svi­luppo, anche se sap­piamo che que­sta dipende dalla spe­cia­liz­za­zione pro­dut­tiva e dalla dimen­sione d’impresa. Se non cam­bia la dina­mica di strut­tura dei paesi dell’area sud dell’Europa sarà dif­fi­cile tra­guar­dare gli obbiet­tivi di mani­fat­tura 2020.

Non tutto è per­duto. Ma se usciamo dal dibat­tito dome­stico che denun­cia la pres­sione fiscale come vin­colo alla cre­scita c’è ancora una speranza.



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