Carcere, la commissione Gratteri e la riforma nostalgica

by redazione | 14 Ottobre 2014 13:32

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Le car­ceri non devono essere dirette dalla Poli­zia e non devono finire sotto il con­trollo del Mini­stero degli Interni. Finan­che chi ha pri­va­tiz­zato parte del sistema delle pri­gioni, come gli Usa o il Regno Unito, hanno riser­vato le com­pe­tenze al Mini­stero della Giustizia.

Tra i sug­ge­ri­menti che le orga­niz­za­zioni inter­na­zio­nali danno alle nuove demo­cra­zie vi è quello di togliere le pri­gioni dal con­trollo dei mini­steri di Poli­zia. Mario Goz­zini, a cui si deve la grande riforma car­ce­ra­ria del 1986, scri­veva di diret­tori peni­ten­ziari straor­di­nari, moti­vati, demo­cra­tici che si sen­ti­vano in per­fetta sin­to­nia con il det­tato costi­tu­zio­nale, il quale pre­vede, va sem­pre ricor­dato, che la pena non deve con­si­stere in trat­ta­menti con­trari al senso di uma­nità e deve ten­dere alla rie­du­ca­zione del con­dan­nato. Goz­zini rac­con­tava anche di come spesso gio­vani diret­tori, giunti entu­sia­sti a lavo­rare in car­cere, si fos­sero poi pro­gres­si­va­mente demo­ti­vati sce­gliendo di lavo­rare altrove. La sto­ria della pena in Ita­lia ha vis­suto anche anni bui. Si pensi a quando la giu­sti­zia ita­liana era nelle mani di Mario Bor­ghe­zio (sot­to­se­gre­ta­rio nel 1994) o Roberto Castelli (Mini­stro dal 2001), entrambi leghi­sti: in que­gli anni il sistema peni­ten­zia­rio non si è tra­sfor­mato in un luogo a loro imma­gine e somi­glianza solo per­ché diret­tori, ope­ra­tori e di con­se­guenza poli­ziotti peni­ten­ziari, si sono fatti carico di una gestione demo­cra­tica e aperta al ter­ri­to­rio. Un pro­getto di riforma che affidi ai poli­ziotti la dire­zione delle car­ceri non tiene conto della sto­ria, del diritto inter­na­zio­nale, degli obiet­tivi costituzionali.

Da giorni si parla di una pro­po­sta di scio­gli­mento del Dap, di cam­bia­mento di fun­zioni della Poli­zia peni­ten­zia­ria e di affi­da­mento della dire­zione ai poli­ziotti stessi. Una pro­po­sta pro­fon­da­mente e peri­co­lo­sa­mente anti-democratica. Il diret­tore deve essere un fun­zio­na­rio civile dello Stato, deve garan­tire la fina­lità costi­tu­zio­nale della pena, avere spi­rito mana­ge­riale, e non deve essere un mare­sciallo che orga­nizza l’ordine pub­blico interno. Dap­per­tutto, tranne che nelle dit­ta­ture o nelle gio­va­nis­sime demo­cra­zie post-regime, il diret­tore non è un poli­ziotto in divisa. Il pro­getto di riforma di cui si discute pare (ma non ce n’è con­ferma isti­tu­zio­nale e pub­blica) sia l’esito dei lavori di una Com­mis­sione voluta dalla Pre­si­denza del Con­si­glio dei Mini­stri e com­po­sta da tre pub­blici mini­steri: Nicola Gratteri, Pier­ca­millo Davigo e Seba­stiano Ardita (quest’ultimo a lungo pro­prio ai ver­tici del Dap).

Alcune domande sor­gono spon­ta­nee: 1) per­ché affi­dare a tre pm che si occu­pano di mafie e col­letti bian­chi il pro­getto di rior­ga­niz­za­zione? Il 90% della popo­la­zione dete­nuta non ha nulla a che fare con que­ste cate­go­rie di reclusi. La vita peni­ten­zia­ria è fatta di orga­niz­za­zione di atti­vità, di azioni per la tutela della salute, di capa­cità di gestione del per­so­nale e delle rela­zioni sin­da­cali. Che c’entra un poli­ziotto con tutto que­sto? 2) per­ché fare una riforma espli­ci­ta­mente con­tro chi ci lavora? 3) per­ché non chie­dere un parere a chi come noi si impe­gna da 30 anni per una pena rispet­tosa della costituzione?

Se ci aves­sero sen­tito avremmo detto che: è giu­sto accor­pare le forze di Poli­zia, è ingiu­sto retri­buire così tanto il capo del Dap, non è giu­sto che costui sia un magi­strato neces­sa­ria­mente. Avremmo aggiunto che i diret­tori devono con­ti­nuare a essere diri­genti pub­blici messi a capo di un per­so­nale omo­ge­neo e qua­li­fi­cato, che i poli­ziotti peni­ten­ziari che lo vogliono pos­sono andare a lavo­rare nella Poli­zia di Stato a cui si può affi­dare la sicu­rezza esterna, che den­tro le mura del car­cere devono ope­rare prin­ci­pal­mente ope­ra­tori civili esperti nel trat­ta­mento, tutti fun­zio­nal­mente dipen­denti dal diret­tore (come avviene in molti stati demo­cra­tici), che la com­pe­tenza isti­tu­zio­nale sui peni­ten­ziari deve essere del mini­stero della Giu­sti­zia e non degli Interni, che ha invece fun­zioni di ordine pubblico.

Imma­gi­niamo che a Via Are­nula si sof­fra dell’invadenza della com­mis­sione Gratteri. Se il pro­getto di riforma di cui si parla è quello pre­an­nun­ciato, noi ci oppor­remo non per difen­dere l’esistente ma per pro­porre cam­bia­menti pro­fondi e siste­mici che non guar­dino a un pas­sato fatto di ordine e mili­ta­riz­za­zione ma a un futuro dove la vio­lenza sia quanto meno mini­miz­zata. Siamo certi di non essere soli in que­sta oppo­si­zione. I tanti ope­ra­tori che lavo­rano in car­cere e le asso­cia­zioni che gesti­scono il trat­ta­mento non pos­sono essere del tutto igno­rati. È anche a loro che vogliamo dare la parola, è da loro che vogliamo ascol­tare pro­po­ste inno­va­tive che affon­dino le radici nella loro espe­rienza, in una grande assem­blea pub­blica che sarà orga­niz­zata a Roma il pros­simo 11 novembre.

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