Colin Crouch e il fantasma del riformismo
Avanza una nuova figura politica, il «socialdemocratico assertivo». Ne propone le caratteristiche l’economista, nonché sociologo inglese Colin Crouch. Il «socialdemocratico assertivo» ha come alleato l’ambientalista responsabile e come interlocutore obbligato il neoliberista che crede tuttavia nel ruolo regolativo dello Stato nel definire i principi della libera concorrenza. Come il suo antenato novecentesco — ma sarebbe meglio specificare che tale convinzione maturò solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, con il famoso congresso di Bad Godesberg della socialdemocrazia tedesca — crede nell’economia di mercato come forma «superiore» di organizzazione della attività economica. Ha mosso solo i primi, timidi passi, ma la sua presenza è stata segnalata in Germania, Francia, Spagna, Italia e in alcuni paesi scandinavi.
Colin Crouch ha messo ai margini le sue sferzanti critiche del neoliberismo reale e l’allarme lanciato sulla formazione di un regime politico qualificato come «postdemocratico», dove le libertà fodamentali (di parola, di associazione) e i diritti civili non impediscono l’esercizio del potere da parte di una oligarchia che siede, senza soluzione di continuità, nelle aule parlamentari e nei consigli di amministrazioni di imprese globali che non tollerano nessun limite posto alla loro azione. Di quella inquietudine rimane solo qualche traccia in questo Quanto capitalismo può sopportare la società (Laterza, pp. 230, euro 19), che può essere considerato un vero e proprio manifesto politico di una, appunto, socialdemocrazia assertiva. Una precisazione è d’obbligo: Colin Crouch non strizza l’occhio a nessun esponente alla guida del centrosinistra europeo attuali. E se la terza via di Toni Blair è stata, nel recente passato, la bestia nera di Crouch, gli attuali segretari francese, tedesco, inglese, spagnolo e italiano vengono citati solo di sfuggita come appunto esempi di una subalternità al neoliberismo. Allo stesso tempo, nessuna concessione è fatta alla «socialdemocrazia della resistenza», cioè quelle formazioni politiche ancora prigioniere di prassi sociali e economiche già sconfitte sul campo.
LE NOBILI RADICI
La socialdemocrazia assertiva, ripete Crouch come un mantra, deve saper conciliare l’economia di mercato con la promozione degli interessi di chi è alla base della piramide sociale. Non deve cioè mostrare nessun sentimento di subalternità verso i neoliberisti. Semmai deve rivendicare la nobile radice nei partiti operai e al tempo stesso mostrare spregiudicatezza nel riformare il welfare state senza restare ancorata nella difesa «senza e senza» ma delle imprese pubbliche.
Colin Crouch è un nome poco noto in Italia, ma in Europa il suo nome è associato al pensiero socialista più innovativo. Suo è lo studio, condotto con l’italiano Alessandro Pizzorno, su come il Sessantotto non sia stato solo l’anno degli studenti, ma anche l’anno dove un diffuso conflitto di classe tra capitale e lavoro vivo ha «prodotto» l’istituzionalizzazione dei diritti sociali di cittadinanza in tutta Europa, lo zenit di quel «secolo socialdemocratico» del quale ha tessuto le lodi e, al tempo stesso, evidenziato i limiti, in particolare modo quando ha sottolineato il fatto che il welfare state rappresentava una forma sofisticata di controllo sociale.
In questo libro, però, il vero nodo che l’autore non riesce a sciogliere è il neoliberismo, articolato in neoliberismo del primo, del secondo e del terzo tipo. La prima variante è quella dominante negli Stati Uniti, nelle segrete stanze delle istituzioni sovranazionali (Wto, Banca mondiale e Fmi) e nella commissione europea. È un neoliberismo radicale, che ritiene dannosa ogni ingerenza dello stato nell’attività economica e che vede nel mercato la forma ottimale per regolare le relazioni sociali e economiche. Nella seconda variante, vanno iscritti i socialdemocratici assertivi e chi ritiene indispensabile un intervento dello stato nel regolare la mobilità dei capitali e la concorrenza, promuovendo così limiti al capitale finanziario, e una legislazione sociale che tuteli la forza-lavoro e le categorie sociali «deboli». Nel neoliberismo del terzo tipo ci sono le grandi imprese che hanno bisogno dello Stato per preparare il «terreno» — la costruzione del consenso — alle loro scorribande planetarie.
Non c’è dunque alternativa al neoliberismo, ma solo la possibilità di contenere gli «spiriti animali del capitalismo», l’unica, per Crouch, indiscutibile e apprezzabile eredità della socialdemocrazia novecentesca. L’assertività della socialdemocrazia dovrebbe dunque consentire quell’innovazione politica indispensabile per fronteggiare l’egemonia dei neoliberisti radicali. Al di là del fatto che l’assertività è una condizione necessaria, ma non sufficiente del Politico, senza la quale si condannano alla testimonianza, manca un punto di vista su come il neoliberismo abbia trasformato i rapporti sociali. L’autore parla diffusamente della demolizione della legislazione a tutela dei lavoratori, della «flex-security» come risposta adeguata alla precarietà della prestazione lavorativa, a patto che non venga snaturata (come è accaduto nell’Unione europea), della centralità della conoscenza e della formazione, beni comuni da sottrarre alla logiche del mercato, ma sono solo deboli esempi di una rinnovata politica socialdemocratica. Quel che manca è una critica del neoliberismo non solo come ideologia a favore del libero mercato, ma come modello di società.
POLITICO AL TRAMONTO
Il capitalismo contemporaneo, ad esempio, vede nel Politico un mero fatto amministrativo dell’esistente, che può tutt’al più definire la cornice normativa all’interno della quale inscrivere le relazioni sociali. La mediazione tra interessi, campo in cui i partiti socialdemocratici sono stati capaci di tutelare i diritti del lavoro vivo, è intesa come estensione progressiva della logica mercantile a tutti gli ambiti della vita sociale. Argomenti già ampiamente affrontati nel saggio Postdemocrazia e Il potere dei giganti (entrambi pubblicati da Laterza), ma che vengono in questo caso sacrificati sull’altare di un irrealistico «realismo politico». Non ci sono neoliberismi del primo, del secondo o del terzo tipo, ma sono varianti di un unico modello generale di società. Il «socialdemocratico assertivo» di Crouch è, in questo contesto, una figura fantasmatica, un timido desiderio di poter imbrigliare gli «spiriti animali del capitalismo», una fuga da un principio di realtà in base al quale è urgente pensare un solido «che fare».
Un’operazione difficile da compiere in una fase che può essere rappresentata come un’attraversata del deserto al termine della quale non c’è nessuna nota terra promessa. Di noto c’è, infatti, solo la realtà che si vuol cambiare, ma non quella che si desidera costruire, visto che il lungo secolo novecentesco ha visto deflagrare i tentativi di società alternative a quelle del capitale. È facile quindi la tentazione di affidare le proprie sorti a qualche apprendista stregone. Che può anche chiamarsi «socialdemocratico assertivo» e ha il volto giovanile di tanti esponenti del centrosinistra continentale, animati però da una triste passione civile, bravi solo a lanciare strali contro un destino cinico e baro.
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