Compromesso tra Renzi e Bruxelles

Compromesso tra Renzi e Bruxelles

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BRUXELLES «La Finanziaria, quella che riduce le tasse, è andata. Va bene anche all’Europa». Matteo Renzi lascia la capitale belga, rientra in Italia ed esulta. «Hanno capito che non scherziamo, ma ora dobbiamo fare quello che abbiamo promesso». L’accordo, ancora da definire nei dettagli, prevede una correzione dello 0,3% del deficit strutturale, 4,8 miliardi in tutto, il triplo di quanto aveva previsto l’Italia. Ma con una differenza che per il premier è alla stregua di dettagli tecnici, la sua impostazione sembra passata.
Ed una mano, forse, gliel’ha data anche Mario Draghi. Alla fine del vertice, nonostante Hollande sia d’accordo con Renzi (quelle della Ue sono «letterine»), nonostante Cameron lo porti ad esempio di equilibrio (ovviamente contro i tecnocrati europei) il vero, involontario, alleato di Matteo Renzi è il presidente della Bce.
Hanno passato, un po’ tutti, come sempre, due giorni a litigare sulle lettere, le procedure, sull’annoso dibattito fra crescita e austerity: le indiscrezioni hanno dipinto la solita Merkel in apparenza inflessibile, spalleggiata dai Paesi nordici, il nostro Renzi scoppiettante, anche dentro il Consiglio («non ci fermiamo davanti a nessuno»), un premier britannico furioso per la storia delle compensazioni, ma alla fine l’unico che fa scendere il silenzio sul vertice, con parole di allarme che forse non sono mai state tanto gravi, è proprio il governatore della Bce: «L’eurozona ha perso slancio, gli investimenti sono deboli, rischiamo di ricadere in recessione, la credibilità è a rischio».
E questa è solo la premessa: Draghi, rispetto al passato, punta anche l’indice. La Bce, aggiunge, «sta facendo la sua parte», ma ora, è la sintesi, tocca a voi: «Occorre che la loro parte la facciano anche i policy maker nazionali ed europei, dobbiamo tornare a crescere e la speranza non è una strategia». Figuriamoci se lo sono le incomprensioni sui decimali di correzione del deficit, lo scambio di epistole fra la Commissione e i governi. Insomma quello del banchiere centrale è come un fischio di fine partita e la Merkel sarà la prima a riconoscerlo: «Dobbiamo ringraziare Draghi perché ci ha fatto guardare tutti allo specchio, dobbiamo prendere delle decisioni, non abbiamo mai deciso quali riforme fare».
Renzi non può che essere soddisfatto: da mesi dice che la Ue non ha strategia, che deve cambiare. La questione del deficit, di un accordo che appare quasi fatto, viene trattata di passaggio, all’uscita del summit: «Nelle prossime ore sarà chiuso quello che dovrà essere chiuso, nessun problema o preoccupazione particolare, la discussione è stata come sempre accesa e tosta, il problema resta la burocrazia e la tecnocrazia».
L’analisi allarmata di Draghi dà forza maggiore allo schieramento dei Paesi che chiedono politiche mirate per la crescita. Renzi prima di tornare in Italia, diretto alla sua Leopolda, ribadisce ciò che ha detto a porte chiuse: «A volte ci sono discussioni che farebbero diventare euroscettici anche Adenauer o De Gasperi, ma non ci fermiamo davanti a nessuno, c’è una situazione di difficoltà di tutta l’Unione che va affrontata».
Vista l’atmosfera generale sembra che nessuno parli più di procedure di infrazione per Francia o Italia. Lo stesso commissario Katainen dice in modo conciliante: «Tutti vogliamo evitare lo scenario peggiore». A porte chiuse la Merkel ha promosso lo schema di riforme di Renzi, ma ha anche accusato l’Italia di non attuare mai i suoi programmi; il premier le ha ribattuto che le regole fiscali improntate all’austerity stanno compromettendo la ripresa, che la Ue, e dunque anche Berlino, «stanno sottovalutando la situazione, non capiscono che bisogna cambiare approccio». Poi, dopo tanti distinguo e incomprensioni, arriva il richiamo di Draghi: occorre «un’urgente strategia globale» e insieme «un calendario di attuazione, e un monitoraggio, di impegni forti e credibili sulle riforme». A fine giornata arriva anche il giudizio, in chiaroscuro, dell’agenzia di rating Fitch: stabile l’outlook, insieme alla valutazione sull’operato del governo. Che «sta facendo progressi con l’agenda di riforme strutturali e di bilancio». Anche se nella loro «attuazione ci sono rischi politici».
Marco Galluzzo



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