A Hong Kong per ora vince Pechino

A Hong Kong per ora vince Pechino

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L’ultimatum degli stu­denti (dimis­sioni del capo del governo o occu­pa­zione degli edi­fici pub­blici) sca­deva alla mez­za­notte di ieri, ora­rio asia­tico, in una Hong Kong nuo­va­mente occu­pata da migliaia di mani­fe­stanti. Nel pome­rig­gio la ten­sione si era leg­ger­mente alzata, quando le per­sone per strada, attra­verso i pro­pri lea­der, ave­vano accu­sato la poli­zia di pre­pa­rarsi a rea­gire con lacri­mo­geni e pal­lot­tolle di gomma ad even­tuali azioni della piazza.

Già prima dell’ultimatum il movi­mento Occupy, aveva però cam­biato i pro­pri obiet­tivi: niente occu­pa­zioni, pur man­te­nendo viva la richie­sta di dimis­sioni del chief exe­cu­tive. E Leung, in una posi­zione dif­fi­cile, per quanto nella gior­nata di ieri Pechino avesse comu­ni­cato la pro­pria «fidu­cia» nel capo del governo, mezz’ora prima dell’ultimatum ha fatto sapere la sua idea su quanto stava acca­dendo ad Hong Kong. Ha con­fer­mato di non avere alcuna inten­zione di dimet­tersi, ha chie­sto agli stu­denti di disper­dersi e ha avuto parole di elo­gio per il movi­mento, defi­nen­dolo «razio­nale» e ha soste­nuto di essere «sem­pre stato favo­re­vole» al dialogo.

La «chief secre­tary», cioè la numero uno della buro­cra­zia gover­na­tiva, pre­sente alla con­fe­renza stampa, è stata inca­ri­cata di orga­niz­zare l’incontro con la Fede­ra­zione degli stu­denti di Hong Kong. Dopo que­sta per­for­mance, gli stu­denti in piazza sono piom­bati nella con­fu­sione, sia orga­niz­za­tiva, sia in rela­zione alle pro­prie riven­di­ca­zioni. Qual­cuno ha pro­vato a occu­pare una strada, altri erano con­trari, qual­cuno ha comin­ciato a ripie­gare, tor­nando a casa, altri sono ancora lì. Poi il comu­ni­cato nel quale si dava il ben­ve­nuto al dia­logo e nel quale si riba­diva la neces­sità di dimis­sioni del capo del governo locale.

Men­tre scri­viamo la situa­zione appare vol­gere al ter­mine e se non ci saranno sor­prese o novità improv­vise, la notte di Hong Kong chiude una sorta di primo round dello scon­tro tra mani­fe­stanti e gover­na­tore, con quest’ultimo — e con lui Pechino — in chiaro van­tag­gio. Da una posi­zione cri­tica, dato per spac­ciato, Leung ha saputo rivol­gersi ai ragazzi in piazza come un padre «con­fu­ciano»: duro, in qual­che modo «con­si­gliere», ma anche aperto al dialogo.

E in effetti la piazza «gio­vane» ha mostrato tutti i suoi limiti nella gestione del con­fronto poli­tico, ter­ro­riz­zata dal pos­si­bile scon­tro con la poli­zia, inca­pace di dare seguito alle «minacce» di occu­pa­zione, stretta tra governo locale e il rischio di un inter­vento di Pechino.

Non è sicu­ra­mente facile con­fron­tarsi con un governo come quello pechi­nese, ma quanto acca­duto ieri indica anche il segnale dei limiti di una pro­te­sta — esal­tata in Occi­dente per­ché anti cinese e «libe­ral­de­mo­cra­tica» — nella quale è man­cata la forza e per certi versi la «cat­ti­ve­ria» di quelle fasce sociali che sono vera­mente escluse non solo poli­ti­ca­mente, ma anche eco­no­mi­ca­mente (gli stu­denti, per il mec­ca­ni­smo asia­tico di sele­zione, a loro modo costi­tui­scono un ceto di «pri­vi­le­giati», rispetto alle badanti filip­pine o ai lavo­ra­tori por­tuali, ad esempio).

La pro­te­sta dun­que assu­merà nuove forme e con­te­nuti, in attesa dell’incontro — se ci sarà — tra rap­pre­sen­tanti degli stu­denti e governo.

Si è con­clusa con que­sto «accordo» una delle gior­nate più tese di que­ste pro­te­ste «dell’ombrello». La situa­zione si era fatta tesa nella mat­ti­nata in una delle zone bloc­cate dai con­te­sta­tori, quella di Tamar, dove sor­gono gli uffici del governo e la sede locale dei mili­tari dell’ Eser­cito Popo­lare di Libe­ra­zione cinese. Un gruppo di gio­vani ha affer­mato di aver sco­perto all’interno di un’ambulanza, alla quale era stato con­sen­tito di pas­sare, rifor­ni­menti di gas lacri­mo­geno e pro­iet­tili di gomma per la poli­zia. Le dichia­ra­zioni del por­ta­voce della poli­zia Steve Hui, secondo il quale la poli­zia «non tol­le­rerà nes­suna azione ille­gale con­tro gli edi­fici del governo», non hanno aiu­tato a cal­mare gli animi.

I lea­der della rivolta gio­va­nile Joshua Wong e Agnes Chow hanno invi­tato i par­te­ci­panti alla pro­te­sta a radu­narsi a Tamar per far fronte ad un even­tuale attacco della poli­zia. Poi Leung ha comu­ni­cato quanto voleva dire e tutto ha preso una piega di con­fu­sione, sep­pure con minor ten­sione. E die­tro a tutto quanto acca­duto ieri, c’è la pre­senza di Pechino, natu­ral­mente, che può dun­que avviarsi verso il quarto ple­num del Par­tito in con­di­zioni tutto som­mato tranquille.

Accer­chiata dai media occi­den­tali, dopo aver accu­sato le ong soste­nute da Usa e Gran Bre­ta­gna, che avreb­bero fomen­tato le pro­te­ste, la Cina ha man­te­nuto la calma. Pechino ha di sicuro con­ce­pito la pos­si­bi­lità di cac­ciare Leung (ipo­tesi che potrebbe non essere tra­mon­tata del tutto) salvo poi con­fer­mar­gli la fidu­cia una volta riscon­trata la pos­si­bi­lità di man­te­nere la posi­zione anche a fronte delle proteste.



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