Ilva, Alitalia e Telecom, saldi di fine stagione

by redazione | 24 Ottobre 2014 8:00

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Quello della pro­gres­siva liqui­da­zione dei grandi gruppi nazio­nali è uno dei capi­toli più tri­sti della nostra sto­ria eco­no­mica del dopo­guerra. Da una cin­quan­tina d’anni — ormai — si regi­stra una fra­gi­lità strut­tu­rale del sistema dell’impresa ita­liana di rile­vanti dimen­sioni. Già negli anni ’60 le grandi strut­ture impren­di­to­riali erano rela­ti­va­mente poche rispetto agli altri grandi paesi euro­pei ed anche a qual­cuno più pic­colo ed esse si pre­sen­ta­vano anche come in media più deboli sul fronte dei mer­cati, non­ché su quelli orga­niz­za­tivo e finan­zia­rio. Da allora in poi la situa­zione si è molto aggra­vata. Sono scom­parse alcune delle strut­ture più impor­tanti, dall’Olivetti, alla Mon­te­di­son, al gruppo Fer­ruzzi, men­tre altre si sono inde­bo­lite; si pensi cosa ha signi­fi­cato su que­sto fronte il pro­cesso di pri­va­tiz­za­zione delle imprese pub­bli­che. Più di recente la crisi ha fun­zio­nato da car­tina di tor­na­sole di una situa­zione già sostan­zial­mente compromessa.

Oggi ci tro­viamo di fronte ad una vera e pro­pria deba­cle nella capa­cità del nostro paese di gover­nare imprese e pro­getti com­plessi; la spe­cia­liz­za­zione pro­dut­tiva della nostra eco­no­mia è rima­sta la stessa di qual­che decen­nio fa, cioè for­te­mente orien­tata ai set­tori più maturi, a bassa e medio-bassa tec­no­lo­gia; inol­tre le imprese sof­frono di ina­de­guata inter­na­zio­na­liz­za­zione e debole capi­ta­liz­za­zione. In tale corpo gra­ve­mente debi­li­tato si inse­ri­sce il capi­tale stra­niero per fare shop­ping a buon mercato.

Sono da tempo note le ragioni prin­ci­pali di tali debo­lezze. Intanto la classe pro­prie­ta­ria, abi­tuata in pas­sato, tra l’altro, a con­tare su mer­cati con­trol­lati e su prov­vi­denze pub­bli­che, ha nella gran parte dei casi l’abitudine di fug­gire dai rischi e di evi­tare i pro­getti impe­gna­tivi. Essa comun­que oggi non ha, nella gran parte dei casi, le risorse umane, finan­zia­rie, stra­te­gi­che neces­sa­rie per reg­gere i mercati.

Il set­tore finan­zia­rio non ha mai fatto una sele­zione della distri­bu­zione delle risorse secondo la qua­lità delle imprese e dei pro­getti, ma ha distri­buito denaro a piog­gia o sulla base dei rap­porti poli­tici e rela­zio­nali di sistema. In tale ambito l’esperienza di Medio­banca si è rive­lata alla fine come dele­te­ria, volta più a tenere in sella le grandi fami­glie piut­to­sto che a por­tare avanti lo svi­luppo delle imprese.

Infine ricor­diamo una classe poli­tica sem­pre priva di idee, in assenza di qual­siasi linea stra­te­gica, inte­res­sata al tor­na­conto par­ti­co­lare del momento, tra­scu­rando qual­siasi linea di poli­tica indu­striale. Non vale la pena di fare l’elenco delle imprese che negli ultimi anni sono pas­sate sotto il capi­tale stra­niero o che rischiano di farlo nei pros­simi mesi. Vogliamo qui di seguito pre­sen­tare sol­tanto tre casi abba­stanza rap­pre­sen­ta­tivi, l’Ilva, l’Alitalia, Tele­com Ita­lia, non a caso esempi di ex imprese pub­bli­che rovi­no­sa­mente pri­va­tiz­zate. Peral­tro ricor­diamo che in un mer­cato glo­ba­liz­zato potrebbe essere anche plau­si­bile seguire la stra­te­gia della Gran Bre­ta­gna, che ha sem­pre tenuto aperte le porte alla con­qui­sta delle sue imprese da parte del capi­tale stra­niero; ma men­tre nel caso citato si regi­stra anche la pre­senza di molte grandi imprese nazio­nali che si svi­lup­pano for­te­mente all’estero e acqui­stano aziende degli altri paesi, nel nostro caso la reci­pro­cità appare pra­ti­ca­mente assente, men­tre molto carente appare la volontà dei nostri governi di tute­lare comun­que gli inte­ressi nazionali.

L’ILVA
Sul caso Ilva, azienda sven­duta a suo tempo a dei pri­vati a dir poco avven­tu­rosi, si sono dif­fusi diversi equi­voci. Il primo è quello di cre­dere che ci sia una con­trap­po­si­zione ine­vi­ta­bile tra lavoro e salute, cosa che impianti «puliti» sparsi in tutto il mondo mostrano come un fatto non neces­sa­rio. Il secondo è quello di pen­sare che in un paese avan­zato come l’Italia non sia più pos­si­bile pro­durre acciaio, cosa smen­tita dal fatto che la Ger­ma­nia pos­siede una forte indu­stria nel set­tore. Un terzo equi­voco, infine, è quello di valu­tare che quella dell’Ilva sia sol­tanto una que­stione di inqui­na­mento, tema peral­tro scan­da­lo­sa­mente ancora non affron­tato pie­na­mente dall’azienda e dal governo. In realtà si intra­vede una sostan­ziale inca­pa­cità stra­te­gica, orga­niz­za­tiva, finan­zia­ria di stare su di un mer­cato sem­pre più com­pe­ti­tivo. Oggi ci ritro­viamo con una situa­zione dram­ma­tica, con l’azienda in forte per­dita e senza risorse. Si sta­rebbe pen­sando da parte del governo di cedere l’impianto al capi­tale stra­niero, affi­dando poi a una qual­che com­pa­gnia ita­liana il ruolo di foglia di fico per nascon­dere l’abbandono totale di ogni vel­leità di pen­sare seria­mente al futuro dell’impianto, all’interesse nazio­nale e al man­te­ni­mento dei livelli occu­pa­zio­nali; si pensi che, tra l’altro, sem­bra che si cer­chi di man­te­nere nella com­pa­gine azio­na­ria futura la fami­glia Riva.

Il governo sta­rebbe pun­tando su di una società indiana, la Arce­lor Mit­tal, che è già pre­sente in forza in Europa con una capa­cità pro­dut­tiva in esu­bero e che pre­su­mi­bil­mente inter­ver­rebbe nell’Ilva sol­tanto per evi­tare che altri se ne impos­ses­sino, pro­get­tando pro­ba­bil­mente di tagliare le dimen­sioni del com­plesso e l’occupazione. Biso­gne­rebbe, invece, da una parte assi­cu­rare una forte pre­senza nazio­nale nell’impianto, cosa che il capi­tale pri­vato non è in grado di fare, attra­verso magari la Cassa Depo­siti e Pre­stiti o diret­ta­mente attra­verso il Tesoro, dall’altra cer­care di sce­gliere tra i pos­si­bili con­ten­denti stra­nieri quello che desse le migliori garan­zie di lungo termine.

L’ALITALIA
Pro­ba­bil­mente l’Alitalia è stata per molte decine di anni l’impresa pub­blica peg­gio gestita del gruppo Iri. La forte inva­denza del malaf­fare poli­tico si accop­piava ad un mana­ge­ment com­plice e inca­pace di rove­sciare una situa­zione disa­strata. Ad un certo punto il qua­dro non ha più retto; abbiamo avuto così prima delle dif­fi­coltà varie, suc­ces­si­va­mente il grot­te­sco inter­vento di Ber­lu­sconi e dei «capi­tani corag­giosi». Dimo­strata poi l’indisponibilità di una qual­che seria cor­data ita­liana capace di sol­le­vare le sorti del com­plesso, ci si è for­tu­no­sa­mente e all’ultimo minuto affi­dati ad un gruppo arabo che sem­bra in grado di pilo­tare la società fuori dalla crisi. Spe­riamo ora che i rap­pre­sen­tanti ita­liani nel capi­tale siano in grado di garan­tire la tutela di alcuni inte­ressi nazio­nali di base.

TELE­COM ITA­LIA
Il capi­tolo della Tele­com Ita­lia non appare meno tri­ste degli altri due e, come nel caso dell’Ilva, siamo ancora oggi lon­tani da uno sta­bile assetto pro­prie­ta­rio. Le tri­sti vicende del gruppo, dal momento della pri­va­tiz­za­zione in poi, hanno com­por­tato una per­dita di posi­zioni sui mer­cati, il tra­monto di oppor­tu­nità rile­vanti di svi­luppo, l’umiliazione infine delle capa­cità tec­no­lo­gi­che di un’azienda che al momento della pri­va­tiz­za­zione pos­se­deva ancora molte impor­tanti com­pe­tenze. La società viene pri­va­tiz­zata nel 1997; essa passa sotto il con­trollo degli Agnelli, poi della cor­data Cola­ninno, che, a detta dei poli­tici di allora, avrebbe dovuto por­tare un sof­fio di aria nuova nell’economia ita­liana. Cola­ninno inde­bita la società per pren­derne il con­trollo e lo stesso farà poi, aggra­vando la situa­zione, Tron­chetti Pro­vera. Il tutto con il soste­gno con­vinto di Medio­banca. Poi nel 2007 si forma un’altra cor­data in cui entra in posi­zione pre­mi­nente la spa­gnola Tele­fo­nica, che cerca, senza suc­cesso, di pren­derne il con­trollo sta­bile. Ma la società, che nel frat­tempo si trova in una situa­zione eco­no­mica e finan­zia­ria abba­stanza pre­ca­ria, è ora al cen­tro di nuovi intri­ghi, in cui il gruppo fran­cese Bol­lorè, forse in alleanza con Ber­lu­sconi, cerca di impa­dro­nirsi del gruppo, in un gioco di scambi poli­tici oscuri con il governo e con altri pro­ta­go­ni­sti del qua­dro. Solo un forte inter­vento del capi­tale pub­blico, oltre a un socio stra­niero, potrebbe rilan­ciare un’impresa allo sbando. Intanto l’Italia si trova indie­tro nella dif­fu­sione della banda larga, infra­strut­tura ormai da tempo indi­spen­sa­bile per lo svi­luppo del paese.

CON­CLU­SIONI
Nell’ultimo anno non è pas­sata quasi nes­suna set­ti­mana senza qual­che annun­cio di grandi e medio-grandi imprese ita­liane in ven­dita. Quasi mai a com­prare c’è un altro gruppo nazio­nale, men­tre, tra l’altro, sono sem­pre più nume­rosi e attenti i capi­tali pro­ve­nienti dai paesi arabi e da quelli asia­tici, con Cina ed India in prima fila. Pre­oc­cupa da una parte la depres­sione del sistema impren­di­to­riale ita­liano di cui tali vicende sono segno, dall’altra la totale iner­zia del governo, che inter­viene di solito il più tardi pos­si­bile e nor­mal­mente sol­tanto per avval­lare le casuali scelte pri­vate. Non c’è nes­suno sforzo di ela­bo­rare una stra­te­gia di attacco, di met­tere in ogni caso in campo delle poli­ti­che di lunga lena atte a rove­sciare la situazione.

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