Piogge violente per il caldo dal mare

Piogge violente per il caldo dal mare

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«È una situazione meteorologica critica, soprattutto per la sua persistenza». Massimiliano Pasqui, dell’Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche, spiega come ormai questa stagione, normalmente piovosa da fine settembre a metà novembre, diventi sempre più pericolosa per i problemi irrisolti nel territorio. «Da alcuni giorni assistiamo a piogge persistenti — nota lo scienziato — e anche se non siamo in una situazione record il fenomeno è eccezionale. Siamo di fronte a disastri ambientali e ci troviamo a dover piangere un’altra vittima».
Alla base c’è un’area ad alta pressione che interessa il Centro-Sud della Penisola, incluse Sardegna e Sicilia, ed estesa sino ai Balcani. Questa si scontra con un flusso di aria fresca e instabile in arrivo da Sud-Ovest generando i fenomeni temporaleschi che hanno interessato la Liguria e Genova in particolare. Ad esasperare la manifestazione meteorologica creando una condizione ancora più favorevole è intervenuta la temperatura del mare, più calda in questo periodo post-estivo. «Per avere delle alluvioni occorre più acqua del solito — precisa Pasqui — come sta accadendo, per fortuna non ai livelli del 2011. Adesso l’intensità e il volume d’acqua sono stati inferiori, però la permanenza e l’estensione nel tempo ha scatenato i guai». È indubbio che 262 millimetri d’acqua calcolati su Genova nell’arco di dodici ore non possano poi scorrere senza danni.
Le previsioni a lunga scadenza dei mesi scorsi elaborate dal centro di ricerche europeo di Reading in Gran Bretagna, avevano ipotizzato un autunno probabilmente più piovoso. Altrettanto, e su scala più globale, è stato preannunciato dalla Noaa, l’Amministrazione americana per l’atmosfera e gli oceani, la quale aggiunge che anche la temperatura media dovrebbe essere più elevata rispetto ai normali livelli stagionali. Quindi, essendo soltanto all’inizio e senza voler essere catastrofici dal momento che ogni previsione a lunga scadenza ha una debolezza intrinseca, il peggio potrebbe ancora verificarsi.
«Negli Anni 60 e 70 — sottolinea Massimiliano Pasqui — si verificavano precipitazioni in alcuni casi anche più intense delle attuali però con conseguenze meno catastrofiche. Ciò che succede oggi si può spiegare come la somma di eventi meteo considerevoli abbinati a una maggior vulnerabilità del territorio a causa di una più consistente urbanizzazione o inadeguatezza degli interventi necessari».
Il dissesto idrogeologico della Penisola è una realtà ben conosciuta che non trova riscontro nell’azione delle amministrazioni pubbliche. E non è sempre un problema di risorse. «In Italia abbiamo 2,5 miliardi di euro già disponibili, in cassa, per la messa in sicurezza del territorio — scrive Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio nazionale dei geologi — ma non li spendiamo».
«La città di Genova per dissesto idrogeologico credo sia la seconda città più pericolosa d’Europa — afferma Carlo Malgarotto, presidente dell’Ordine dei geologi della Liguria — e dunque il territorio va gestito in una maniera diversa. Si potrebbe, ad esempio, trattenere le acque a monte cercando di diluirle durante il percorso».
Le proiezioni per i prossimi giorni non sono molto incoraggianti. «La situazione si manterrà critica perché le piogge continueranno. Purtroppo l’instabilità è tale da non consentire adesso indicazioni precise. Quindi il Settentrione, ma pure il versante tirrenico, saranno ancora colpiti, analogamente a quanto sta accadendo sia in Spagna che in Francia dove già due settimane fa si sono registrati eventi calamitosi. Sulle regioni meridionali, invece, rimarrà il Sole».
Un aiuto in prospettiva potrebbe arrivare dalla ricerca. Dal 2010 è in azione un piano di indagine internazionale battezzato Hymex ( Hydrological Cycle in Mediterranean Experiment ) sulle manifestazioni dei fenomeni climatici estremi, come piogge eccezionali o bombe d’acqua, nell’area mediterranea. Protagonisti sono i maggiori enti di ricerca europei, che lo sostengono economicamente. Tranne l’Italia, dove gli scienziati partecipano su base volontaria per la cronica mancanza di risorse destinate alla ricerca.
Giovanni Caprara



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