America scossa dai moti razziali

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FERGUSON (Missouri) Dopo la notte dello scatenamento demoniaco di centinaia di giovani che hanno incendiato, distrutto e saccheggiato, una giornata di sole per leccarsi le ferite, riparare i vetri rotti, cercare di fare provviste e coprire porte e finestre con pannelli di legno in previsione di altre notti infernali. Tutto sotto gli occhi avidi delle telecamere dei grandi network che riprendono e ritrasmettono la grande tragedia di una convivenza razziale improvvisamente lacerata: una tragedia soprattutto nera con le violenze notturne dei ragazzi afroamericani emarginati e gli inviti diurni alla concordia di pastori evangelici, negozianti, politici locali, ristoratori e avvocati della loro comunità. Tutti esponenti della borghesia agiata di Ferguson che spuntano a ogni angolo di strada, sfoggiando buonismo e occhiali dalla montatura d’oro, propositi pacificatori e abiti di un’eleganza ridicola in mezzo a questa scenografia di vetri in frantumi e rovine fumanti. Recitano con la stessa convinzione alla tv come davanti al taccuino del cronista straniero.
Nel giorno del pronunciamento del Gran giurì che ha deciso di non incriminare Darren Wilson, il poliziotto bianco che il 9 agosto uccise Michael Brown, un ragazzo afroamericano di 18 anni, a Ferguson tutto diventa palcoscenico. Non solo le mille conferenze stampa di procuratori che spiegano l’assoluzione, avvocati che la contestano, governatori e sindaci che invitano alla calma e cercano di giustificarsi perché, dopo aver proclamato lo stato d’emergenza, non hanno usato la Guardia nazionale per arginare le violenze: anche gli scontri della notte diventano spettacolo. Fanno parte della rappresentazione i capannoni incendiati mentre sullo sfondo si vedono i profili degli agenti in assetto di guerra che restano a guardare, i negozi distrutti e saccheggiati da decine di ragazzi che consegnano la refurtiva alle loro compagne che li aspettano sui marciapiedi. E poi lo spettacolo quasi irreale delle auto delle polizia in fiamme, riprese da ogni angolazione. L’apoteosi mediatica la trovi nella scintilla che innesca l’incendio: il filmato della metamorfosi della famiglia di Michael. Alla vigilia del verdetto il padre e la madre del ragazzo ucciso hanno sottoscritto un appello alla calma, chiedendo alla gente di Ferguson di evitare ogni violenza. Ma adesso che è arrivata l’assoluzione mamma Lesley sale su una piattaforma davanti a centinaia di persone che manifestano di fronte al commissariato di polizia di Ferguson. Piange e urla parole di dolore e rabbia infinita fino a quando salgono ad abbracciarla altri parenti con le loro grida sempre più ritmate. Che culminano nell’invettiva incendiaria di Louis Head, il secondo marito di Lesley: «Bruciamo quella puttana», urla indicando la caserma della polizia.
È lì che esplode il vulcano. Alle prime luci dell’alba sono stati dati alle fiamme dodici edifici oltre a due auto degli sceriffi: 61 i manifestanti arrestati, centinaia i colpi di arma da fuoco. Nessuna vittima, per fortuna. Anche il presidente Obama ha preso le distanze da queli che ha definito «atti criminali».
Le reti tv via cavo, dopo aver riproposto per giorni le immagini di roghi vecchi di mesi — quelli delle manifestazioni di agosto — hanno finalmente materiale «fresco» da dare in pasto ai loro spettatori. Ma il colpo del giorno lo fa l’ Abc , una rete generalista loro concorrente, che riesce a intervistare (certo non gratis) Darren Wilson, il poliziotto che la famiglia Brown continua a chiamare «killer». E che, sparito dalla circolazione da quando, il 9 agosto, uccise Michael, nei giorni scorsi ha trovato anche tempo e modo di sposarsi. «Mi spiace per la perdita di una vita umana — ha detto Wilson — ma ho fatto semplicemente il mio lavoro. Non è stata un’esecuzione».
Il governatore del Missouri Nixon, finito sotto accusa, insieme al procuratore McCulloch, per aver aspettato troppe ore prima di comunicare il verdetto e per non aver usato la Guardia nazionale, si giustifica: «Non volevamo che gli scontri iniziassero quando c’erano ancora persone al lavoro e ragazzi che dovevano tornare da scuola. Ma non tollereremo un’altra nottata di violenze selvagge»: stanotte i rivoltosi troveranno sulla loro strada la Guardia nazionale.
L’America aspetta il tramonto col fiato sospeso: non solo il Missouri, ma tutto il Paese perché ieri notte l’ondata emotiva di Ferguson ha attraversato come una scossa elettrica tutti gli Stati Uniti, da Los Angeles a Chicago, da Seattle a Washington. Con 130 manifestazioni in 37 Stati. Non violenze gravi come quelle di Ferguson: le proteste sono state quasi ovunque pacifiche, ma a Los Angeles il traffico su due grandi autostrade è stato bloccato dai sit-in mentre a New York, dove si sono svolte manifestazioni affollatissime a Times Square, Columbus Circle e Union Square, sono stati a lungo chiusi al traffico il Brooklyn Bridge e il Triboro, il ponte che collega Manhattan con gli aeroporti Kennedy e La Guardia.
Massimo Gaggi


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