Bahrain, un voto per cambiare nulla

Bahrain, un voto per cambiare nulla

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Men­tre i bah­ra­niti sun­niti, buoni sud­diti del monarca asso­luto Hamad bin Isa al Kha­lifa, si affret­ta­vano ieri a rag­giun­gere le urne, il Cen­tro per i diritti umani del Bahrain ha messo in rete un fil­mato girato una doz­zina di anni fa a Dam­mam, in Ara­bia sau­dita. Gli inter­vi­stati, tutti sun­niti, hanno rac­con­tato come sono riu­sciti ad avere, con estrema faci­lità, con una sem­plice richie­sta, la cit­ta­di­nanza bah­ra­nita. Imma­gini e parole che, nelle inten­zione del cen­tro per i diritti umani, hanno voluto ricor­dare come la monar­chia al Kha­lifa da anni stia rega­lando pas­sa­porti a cit­ta­dini di altri paesi, non solo sau­diti, per aumen­tare il numero dei sun­niti, una mino­ranza rispetto alla mag­gio­ranza sciita (70%), discri­mi­nata, tenuta lon­tata dai ver­tici del potere e dell’economia, e rite­nuta dalla dina­stia reale uno stru­mento nelle mani del nemico iraniano.

Ieri gli sciiti hanno boi­cot­tato i seggi elet­to­rali che si sono aperti per la prima volta dal 2011, l’anno in cui anche il Bah­rain ha avuto la sua “pri­ma­vera araba”, per eleg­gere 40 depu­tati (i 40 sena­tori sono nomi­nati da re Hamad) tra 266 can­di­dati. Ele­zioni farsa che rap­pre­sen­tano bene le inten­zioni della monar­chia – forte della pre­senza nella base navale di Juf­fair della V Flotta ame­ri­cana e dell’alleanza con l’Arabia sau­dita – di non con­ce­dere nulla al movi­mento popo­lare che da anni chiede riforme in grado di garan­tire l’uguaglianza piena dei cit­ta­dini di fronte alla legge e alle isti­tu­zioni, e un par­la­mento eletto da tutta la popo­la­zione e non solo, come è acca­duto anche ieri, dalla mino­ranza sunnita.

La ricon­ci­lia­zione nazio­nale, avviata dopo l’intervento armato sau­dita e del Kuwait nel 201, a soste­gno delle forze di sicu­rezza del Bahrain, per spaz­zare via la pro­te­sta di Piazza della Perla a Manama, non ha pro­dotto alcun risul­tato. L’opposizione mode­rata, rap­pre­sen­tata dal prin­ci­pale par­tito sciita, al Wefaq, sì è ritro­vata imbri­gliata nella rete del finto “dia­logo” men­tre le forze di sicu­rezza hanno con­ti­nuato ad arre­stare gli atti­vi­sti poli­tici e dei diritti umani, poi con­dan­nati al car­cere, tal­volta solo per un tweet – come Nabeel Rajab -, da giu­dici decisi a ser­vire bene solo gli inte­ressi di re Hamad. Uno degli ultimi casi è quello di Ibti­sam Al Saegh e di una decina di donne finite in manette per aver pro­mosso una cam­pa­gna refe­ren­da­ria. Non ha sor­preso per­ciò che lo scorso 28 otto­bre, dopo tre anni di mano­vre die­tro le quinte, pro­clami vuoti e nego­ziati inu­tili, sia arri­vata anche la sospen­sione per tre mesi, quindi durante le ele­zioni, delle atti­vità del Wefaq che pure ha sem­pre rap­pre­sen­tato la parte più mode­rata, più dispo­ni­bile al dia­logo della mag­gio­ranza sciita della popo­la­zione. Nei giorni scorsi cen­ti­naia di gio­vani hanno sfi­dato la poli­zia e i ser­vizi di sicu­rezza per esor­tare la popo­la­zione al boi­cot­tag­gio delle ele­zioni. A nulla sono ser­vite le minacce giunte dalle auto­rità che non hanno man­cato di accu­sare di nuovo Teh­ran di fomen­tare la pro­te­ste sciite in Bah­rain e in tutto il Golfo. Un nuovo inter­vento mili­tare sau­dita non è da esclu­dere se re Hamad dovesse rite­nersi di nuovo in peri­colo, sotto l’egida di quello “Scudo del Golfo”, l’esercito di pronto inter­vento di tutte le monar­chie sunnite.

Dopo le ele­zioni non cam­bierà nulla, tutto rimarrà come prima. Con la monar­chia ad eser­ci­tare poteri asso­luti e la mag­gio­ranza sciita tenuta ai mar­gini. «Ma que­sta non è la bat­ta­glia degli sciiti è la lotta di tutti i bah­ra­niti che cre­dono nel diritto, nell’uguaglianza, non dimen­ti­chiamo che ci sono non pochi sun­niti tra coloro che si bat­tono per il cam­bia­mento», spiega la gior­na­li­sta e atti­vi­sta Reem Kha­lifa. Tut­ta­via la mino­ranza sun­nita ha siste­ma­ti­ca­men­te­so­ste­nuto re Hamad e i rap­porti tra le due comu­nità, già dif­fi­cili, si sono ulte­rior­mente lace­rati negli ultimi anni. Senza dimen­ti­care che tra gli sciiti più gio­vani è forte la delu­sione per la man­canza di qual­siasi risul­tato al tavolo delle trat­ta­tive al quale si è seduta l’opposizione mode­rata. E tra di essi si dif­fonde l’idea che non sia pos­si­bile affron­tare la via del cam­bia­mento solo con metodi pacifici.

Re Hamad aveva cam­biato la Costi­tu­zione nel 2002 lasciando inten­dere che sarebbe andato avanti sulla strada delle riforme. 12 anni dopo il par­la­mento con­ti­nua ad essere senza poteri reali. Resta in piedi il sistema poli­tico costruito per garan­tire il domi­nio dell’esecutivo e dove il re nomina tutti i mini­stri, per la mag­gior parte mem­bri della sua fami­glia. Lo scorso set­tem­bre il prin­cipe ere­di­ta­rio Sal­man aveva annun­ciato un “qua­dro di dia­logo” che defi­ni­sce cin­que set­tori da rifor­mare da discu­tere ma non ha for­nito garan­zie sui poteri futuri dell’assemblea. Di fronte al no delle oppo­si­zioni è scat­tata la repres­sione anche nei con­fronti di espo­nenti del Wefaq e altri par­titi mode­rati che sono andati ad aggiun­gersi alle migliaia di pri­gio­nieri poli­tici in un paese che conta meno di un milione di abitanti.



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