Bianchi-Petrini “Una nuova sobrietà contro la spreconomy”

Bianchi-Petrini “Una nuova sobrietà contro la spreconomy”

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REGGIO EMILIA. IL pane è il primo sostantivo della grammatica della vita. Sul palco due piemontesi, Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, e Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, entrambi affezionati al pane, reale e spirituale. Ma nel mondo 800 milioni di persone sono senza pane quotidiano, obietta Simonetta Fiori. Manca il pane, o la volontà?
Petrini : Al contrario, c’è la precisa volontà di mantenere intere popolazioni sotto il giogo della dipendenza. In Africa il fenomeno del land grabbing è in crescita esponenziale, 80 milioni di ettari comprati a prezzi ridicoli con la complicità di governi disonesti da Cina, India, Emirati, da multinazionali, per produrre biocarburante, comunque non cibo per gli africani. Da un giorno all’altro interi villaggi perdono il pascolo delle greggi, una violenza che genera disperazione e fame. Questo neocolonialismo è più violento del precedente, ricordiamolo quando vediamo moltitudini che fuggono da un continente depredato. Da cinquant’anni le si parla di diritto al cibo ma la governance mondiale non è in grado di risolvere questa vergogna. Eppure ha un costo risibile rispetto alle spese per armi o per risanare i bilanci delle banche. Ma è anche colpa della nostra assuefazione. Fino a quando non ci sarà abbastanza indignazione le cose non cambieranno.
Bianchi: Noi siamo parte del problema. Prima ancora dell’indignazione, viene l’educazione. La sobrietà va insegnata, ma facendo capire che non è rinuncia: è il rifiuto dell’eccesso. Nelle tradizioni della sapienza monastica si parla di mensura cibi, moderazione nel cibo. Viviamo in uno stato di bulimia acquisitiva e vertigine consumistica che altera il nostro rapporto col cibo. C’è una cifra che mi crea un senso di rivolta: in Italia buttiamo via 180 chili di cibo a testa all’anno. Questo perché siamo stati educati ad avere molto più di quel che consumiamo. La mia generazione era educata dalla penuria. Ma il problema oggi non è riciclare gli avanzi. È più radicale. L’educazione etica comincia dall’esperienza del cibo, quando la mamma ci mette la pappa in bocca, buono e cattivo sono quello, dopo diventano categorie morali. Allora, la prima cosa da fare per rispettare il cibo è educare i sensi. Quando mangi, prima di tutto guardi il cibo, lo tocchi, lo annusi, solo dopo lo gusti. Sapete perché si fa cin-cin? Per portare nell’esperienza del cibo anche l’udito. Del cibo dobbiamo ricominciare a vedere la materialità, capire che viene da fatica e storia di uomini. Il pane quotidiano è sempre plurale, è sempre nostro, non è mai mio.
Petr ini: Ben venga l’educazione alimentare nelle scuole, straordinarie le maestre che piantano un orto di classe… Quella che ho chiamato «spreconomy » è un sistema criminale. Il cibo ha perso il suo significato umano ed è diventato merce, conta quanto costa, non quanto vale. Nel pane quotidiano non vediamo più la vita della gente che lo ha prodotto, ma un prezzo, che deve essere basso più possibile, a spese della terra. Qualunque contadino anziano può confermare la drammatica perdita di fertilità dei suoli. La scarsità di acqua sta diventando la causa principale delle guerre. Se Gesù dovesse tornare a battezzarsi nel Giordano si bagnerebbe appena i garretti.
Bianchi: Drammatica la nostra incapacità di vedere nel cibo qualcosa che viene prima del suo valore. Il cibo non viene prodotto soltanto dalla natura, ma dalla cultura. Noi ci cibiamo di storia. Ogni cibo che arriva sulla tavola dovrebbe meravigliarci. Pregare prima dei pasti non era ringraziare Dio perché altrimenti si arrabbia, no, era un grazie interiore per questa meraviglia, per questo dono. La nostra cultura del cibo nasce col dono, la mamma non ci vendeva il suo latte. Ma ai paesi poveri non sappiamo fare il dono della cancellazione del debito neppure dopo averli sfruttati. La giustizia la vogliamo qui, a casa nostra, ma una giustizia planetaria chi la vuole davvero?
Petrini: Possiamo ricominciare dal valore delle piccole comunità di agricoltura locale. La nostra associazione “Terra madre” è presente in 175 paesi, e non è l’unica. La civiltà contadina ha dodicimila anni, l’economia che l’ha retta è stata quella della sussistenza: coltivare per vivere. L’economia dell’accumulazione, coltivare per guadagnare, ha distrutto l’agricoltura. Credo sia matura una nuova economia della sussistenza, che non è privazione, che comprende diritto allo studio, al riposo, alla serenità. Non siamo al mondo per far crescere il Pil, siamo nati per vivere. Se diciamo questo, tanti ridono: ma guardate come ci hanno ridotti. Un grande socio di Slow Food, Edgar Morin, dice: tutto deve ricominciare e tutto è già ricominciato. Lo dico a questa Italia magonosa e sofferente. Lo dico anche alla sua politica, che è molto più slow di noi a capire queste cose. Ma arriverà.


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