Cameron: «Taglierò il welfare agli immigrati»

Cameron: «Taglierò il welfare agli immigrati»

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LONDRA David Cameron va ancora all’attacco: taglierò il welfare ai migranti che arrivano dall’Unione Europea. Propone, nel caso di riconferma a Downing Street, di congelare per quattro anni i crediti d’imposta e gli aiuti sulla casa ai lavoratori a basso reddito che arrivano dalla Ue. Ipotizza di rispedire in patria chi non trova occupazione entro sei mesi. Promette di rimuovere i contributi per i figli a carico se risiedono fuori dal Regno Unito. E prefigura il blocco per i cittadini dei nuovi paesi aderenti alla Ue se «le loro economie» non convergeranno coi parametri europei. Le parole sono pesanti e, a prima vista, mettono Cameron di nuovo in rotta di collisione con l’Europa.
Ma dietro al discorso che il leader conservatore ha fatto ieri, tutto centrato sulla necessità di disincentivare i flussi d’ingresso attraverso la soppressione dei generosi benefici sociali oggi previsti per la manodopera non qualificata (soprattutto dall’Est), c’è una lunga mediazione sia con la cancelliera Merkel, con la quale Cameron si è consultato fino a poco prima del suo intervento, sia con il presidente della Commissione, Juncker.
Ed è stato proprio il pressing congiunto di Berlino e Bruxelles a mitigare i contenuti della posizione del premier britannico che infatti ha rinunciato a porre la questione delle «quote» (il tetto annuale alle immigrazioni), poi a riconoscere la fondatezza del principio della «libera circolazione» delle persone nell’area europea (cardine dei trattati), infine a ribadire che comunque occorrerà negoziare coi partner dell’Europa, escludendo atti unilaterali. Così il commento di Juncker è morbido: «La sua posizione va ascoltata senza drammi».
La sortita di Cameron, in sostanza, occorre leggerla in doppia chiave. Per quello che non dice (ad esempio non cita provvedimenti che sarebbero incompatibili con lo spirito dei patti europei), allineandosi con i «consigli» della signora Merkel ed evitando di isolarsi in un angolo. E per quello che dice, con vigore, ma che risponde tanto alla necessità di lanciare un manifesto elettorale quanto all’esigenza di nascondere il fallimento della sua promessa del 2010. Allora, correndo per Downing Street e incalzando i laburisti, disse: taglierò il saldo migratorio e lo conterrò in poche migliaia.
Sfortunatamente per Cameron i dati, che l’Ufficio Nazionale di Statistica ha diffuso proprio alla vigilia del suo discorso, sono una solenne bocciatura di quei vecchi impegni. Nell’ultimo anno, dal giugno 2013 al giugno 2014, sono stati registrati 583 mila immigrati (228 mila sono cittadini Ue) e 323 mila emigrati.
Il bilancio parla di uno squilibrio di 260 mila unità, con un più 78 mila (quasi la metà rumeni e bulgari) rispetto ai dodici mesi precedenti. Cinque anni di coalizione fra conservatori e liberaldemocratici hanno prodotto un risultato opposto a ciò che era stato proclamato con enfasi. La forza lavoro di provenienza Ue è di 1,7 milioni su 2,9 milioni complessivi di lavoratori immigrati. Sono i numeri che spiegano gli ultimi strappi di Downing Street.
Il leader tory deve destreggiarsi fra l’arrembante Nigel Farage che lo accusa di avere fatto sempre «promesse disoneste», il mondo del business che lo invita a «non calpestare il valore europeo della libera circolazione di manodopera» e i partner, Merkel in testa, che lo spingono a maggiore cautela. L’intervento di ieri, forte e populista ma non di irrimediabile rottura, è un gioco d’equilibrio e d’azzardo insieme. La cui efficacia sarà verificata con il voto di primavera

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