La catena dell’odio

by redazione | 19 Novembre 2014 9:55

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È mat­tina pre­sto; in una sina­goga di Geru­sa­lemme i fedeli hanno ini­ziato le pre­ghiere del giorno. Due pale­sti­nesi armati di col­telli e di una pistola irrom­pono e ucci­dono quat­tro per­sone, feren­done altre sette od otto, prima di essere uccisi dalla poli­zia sopraggiunta.

Gio­vedì scorso Washing­ton aveva fatto pres­sione sul primo mini­stro Neta­nyahu, e que­sti si era recato ad Amman con Abu Mazen. In realtà, pro­ta­go­ni­sti dell’incontro erano stati il re di Gior­da­nia Abdal­lah, il segre­ta­rio di Stato ame­ri­cano John Kerry e il primo mini­stro israe­liano, men­tre Abu Mazen aveva par­te­ci­pato ad accordi bila­te­rali. Chi vuole capire qual­cosa di quel che sta suc­ce­dendo deve fare atten­zione alla suc­ces­sione degli eventi.

Il governo israe­liano aveva annun­ciato che il giorno suc­ces­sivo la moschea di Al Aqsa sarebbe stata aperta a tutti senza limiti di età. Sono dun­que arri­vati oltre 40mila musul­mani, senza alcun inci­dente. Quando la repres­sione dimi­nui­sce, si riduce anche la rea­zione alla repres­sione stessa.

Il governo israe­liano attra­versa una fase di pro­fonda crisi rela­tiva all’approvazione del bilan­cio, ai malu­mori interni alla coa­li­zione e alla para­noia di Neta­nyahu, con­vinto che si stia con­giu­rando con­tro di lui. Tutto que­sto è cre­sciuto negli ultimi quat­tro o cin­que giorni, che sono stati di una tran­quil­lità molto rela­tiva. Gra­zie alla cri­mi­nale stu­pi­dità di due pale­sti­nesi, la crisi sarà dimen­ti­cata e si potrà alle­gra­mente ali­men­tare il fuoco che sta divam­pando. Per Hamas, già «con­tento» dei limi­tati pro­gressi nei ten­ta­tivi di evi­tare una crisi uma­ni­ta­ria nella Stri­scia di Gaza, in con­se­guenza dell’ultima guerra israe­liana, l’attacco (ma che potrebbe essere però un atto scel­le­rato dell’assai debole Fronte popo­lare al quale appar­te­ne­vano i due gio­vani atten­ta­tori) è un’ottima occa­sione per con­gra­tu­larsi con gli «eroi» che liqui­dano nemici sio­ni­sti nelle sina­go­ghe, rispon­dendo in que­sto modo ai cri­mini israeliani.

Hamas, assai inde­bo­lito, oggetto di nuove accuse da parte del Cairo per la pre­sunta par­te­ci­pa­zione all’attacco nel quale sono rima­sti uccisi 30 mili­tari egi­ziani, rischia di nutrirsi di cada­veri come i corvi; diversi suoi por­ta­voce si sono ral­le­grati per quest’atto che avrà ampie riper­cus­sioni. Le imma­gini degli abiti reli­giosi mac­chiati di san­gue, i cada­veri dei quat­tro rab­bini uccisi in sina­goga: il cri­mine ha un pro­fondo potere evo­ca­tivo. A parte il signi­fi­cato in sé, è anche un regalo, un grande regalo ai fra­telli sim­bo­lici: i fon­da­men­ta­li­sti israe­liani. L’odio degli uni ali­menta quello degli altri, sca­te­nando una catena di fuoco che può bru­ciare tutti.

Non è suf­fi­ciente ana­liz­zare il con­te­sto poli­tico e ovvia­mente biso­gna subito fare una con­si­de­ra­zione chiara e netta: sono quo­ti­diani i cri­mini dell’occupazione israe­liana, come la poli­tica scio­vi­ni­sta e fon­da­men­ta­li­sta del governo di Tel Aviv e dei suoi alleati, ma que­sto non può giu­sti­fi­care delitti come quello di ieri a Geru­sa­lemme, né l’antisemitismo che prende piede in Europa.

Non solo sono atti bru­tali sul piano morale e poli­tico ma, e gli effetti sareb­bero ancor più gravi, minac­ciano di con­ver­tire il con­flitto israelo-palestinese — che è un con­flitto nazio­nale e poli­tico, e può, deve tro­vare solu­zione — in un con­flitto reli­gioso, islamico-ebraico, che non con­sente invece accordi ed è inso­lu­bile. L’analisi del con­flitto e delle sue impli­ca­zioni non può atte­nuare la con­danna di simili atti. Ma chia­riamo bene una cosa: l’esplicita con­danna di attac­chi cri­mi­nali come que­sto non può giu­sti­fi­care i cri­mini israe­liani, quelli degli ultimi mesi e set­ti­mane e quelli che ver­ranno e c’è già chi reclama vendetta.

La crea­zione di un governo pale­sti­nese di unità nazio­nale era stata un segnale di «peri­colo» per il governo israe­liano: men­tre le discus­sioni con un pre­si­dente pale­sti­nese debole — Abu Mazen — pote­vano andare avanti all’infinito senza minac­ciare il pro­getto colo­niale israe­liano, un governo di unità nazio­nale poteva pre­lu­dere a nego­ziati seri. Il rapi­mento e l’assassinio di tre gio­vani israe­liani sono stati un regalo per il governo di Tel Aviv che ha così potuto avviare una vio­lenta repres­sione in Cisgior­da­nia e in seguito la guerra di Gaza, con oltre due­mila morti fra i palestinesi.

L’episodio ha anche sciolto i freni ini­bi­tori a cri­mi­nali raz­zi­sti ebrei; l’assassinio di un gio­vane pale­sti­nese a Geru­sa­lemme — per «ven­di­care il seque­stro» — ha inne­scato la mic­cia dell’incendio che è divam­pato in città in que­sti ultimi mesi.

Il «Monte del Tem­pio» — per gli ebrei, sulla cui spia­nata sorge la moschea di Al Aqsa, per la mag­gior parte dei rab­bini è un luogo al quale gli ebrei non devono acce­dere, ma per alcuni ristretti gruppi fon­da­men­ta­li­sti, privi di impor­tanza fino a poco tempo fa, sarebbe il luogo dove rico­struire il Tem­pio, distrutto nell’anno 70 (d. C.). L’estrema destra israe­liana ha subito colto l’occasione per infiam­mare la città, e ren­dere impos­si­bili nego­ziati che erano pos­si­bili; depu­tati e poli­tici hanno ini­ziato ad arri­vare al Monte con dichia­ra­zioni vee­menti con­tro lo sta­tus quo che assi­cura ai musul­mani il con­trollo dell’area.

Debole e inef­fi­cace, il governo israe­liano con­ti­nua a nutrirsi di pro­vo­ca­zioni e inci­ta­menti raz­zi­sti; ogni attacco pale­sti­nese è un’eccellente occa­sione per get­tare altra ben­zina sul fuoco. In Europa e nel mondo si sus­se­guono le condanne.

Oggi stig­ma­tiz­zano i pale­sti­nesi irre­spon­sa­bili che con un cri­mine ver­go­gnoso hanno fatto il gioco di Neta­nyahu; domani lo faranno rispetto ai fon­da­men­ta­li­sti dell’Isis, che pure sono un pro­dotto evi­dente delle guerre cri­mi­nali avviate dal grande impero sta­tu­ni­tense. Occor­re­rebbe invece ini­ziare un’azione reale a favore della pace, senza le men­zo­gne, l’ipocrisia e il cini­smo che con­tri­bui­scono a tra­ge­die san­gui­nose, nella regione, o in Ucraina, e ovunque.

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