Cibo trasparente con l’ «etichetta narrante»

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Da pochi giorni si è con­cluso a Torino il Salone del gusto Terra Madre — Slow Food. Fra le cen­ti­naia di eventi, degu­sta­zioni e dibat­titi che affol­lano, come ogni anno, la ker­messe tori­nese, par­ti­co­lar­mente inte­res­sante è stato l’incontro «La tra­spa­renza è un’autentica rivo­lu­zione», dove Piero Sardo e Luca Cavaz­zoni hanno pre­sen­tato il pro­getto «eti­chetta nar­rante». Il movi­mento Slow Food, in col­la­bo­ra­zione con la coo­pe­ra­tiva Alce Nero, sta final­mente ragio­nando su come pro­teg­gere le pro­du­zione dei famosi pre­sidi, attra­verso un’etichetta che descriva dove, comeda chi una fra­gola di Tor­tona, un pistac­chio di Bronte, un melone di Paceco, un suino Mora roma­gnola è stato col­ti­vato o alle­vato e poi tra­sfor­mato in un pro­dotto com­me­sti­bile. L’esempio di eti­chetta pro­po­sto è in per­fetto stile Slow Food: nar­ra­tivo ed este­ti­ca­mente accat­ti­vante. Tut­ta­via, è un modello che pre­senta almeno tre lacune che potreb­bero essere facil­mente col­mate. Anzi­tutto, nei pro­to­tipi mostrati, è assente una descri­zione det­ta­gliata dei trat­ta­menti chi­mici che gli ali­menti subi­scono. Inol­tre non è pre­vi­sto alcun cal­colo dell’impatto ambien­tale della pro­du­zione, in altre parole, la sua soste­ni­bi­lità ambien­tale. Infine, non è stato pen­sato alcun orga­ni­smo terzo di con­trollo su quanto l’etichetta descrive.

Nel pro­get­tare una nuova forma di cer­ti­fi­ca­zione ali­men­tare que­sti tre fat­tori sono invece gli ele­menti deci­sivi su cui pun­tare, soprat­tutto se posi­zio­nati nel con­te­sto gene­rale in cui viviamo, per lo meno per come è descritto dal dos­sier Eco­ma­fiepub­bli­cato da Legam­biente lo scorso giu­gno. Solo nell’ultimo anno sono state cen­site 29.274 infra­zioni nel set­tore ambien­tale, più di 80 al giorno, più di 3 ogni ora. E in mas­sima parte hanno riguar­dato il set­tore agroa­li­men­tare (il 25% del totale). Il fat­tu­rato com­ples­sivo di que­ste frodi, sem­pre altis­simo, ha sfio­rato, in tempi di crisi nera, i 15 miliardi di euro. Di fronte all’avanzare di que­sta marea, se è fon­da­men­tale orga­niz­zare pre­sidi e met­terli in rete, come ha meri­to­ria­mente fatto – insieme ad altri movi­menti in que­sti ultimi decenni — il movi­mento Slow Food, altret­tanto fon­da­men­tale è inca­ri­carsi della pro­te­zione e della difesa effet­tiva di que­ste realtà. Anche per­ché ci tro­viamo in un pas­sag­gio sto­rico deci­sivo. Il pre­si­dente del con­si­glio Mat­teo Renzi ha dichia­rato, poche set­ti­mane fa, che farà di tutto per soste­nere il TTIP (Trat­tato tran­sa­tlan­tico sul com­mer­cio e sugli inve­sti­menti).
Si è già discusso a lungo, per lo meno su que­sto gior­nale, sulle pre­oc­cu­panti con­se­guenze che l’approvazione di que­sto trat­tato potrà avere soprat­tutto sul set­tore agro-alimentare euro­peo. Eppure un’efficace misura di con­tra­sto e auto­di­fesa potrebbe venire dalla sem­plice appro­va­zione, in sede euro­pea, del modello di cer­ti­fi­ca­zione e con­trollo ideato da Mario Pia­nesi nel 1980, l’«etichetta tra­spa­rente pia­ne­siana». Que­sta forma di cer­ti­fi­ca­zione (pre­sen­tata al senato ita­liano nel 2003; pro­po­sta e votata da quasi la metà del par­la­mento euro­peo nel 2009 e ancora nel 2014; oggetto di con­ve­gni, solo nell’ultimo anno, in 12 regioni d’Italia) fun­ziona da decenni, è adot­tata da decine di aziende ita­liane e cer­ti­fica, già oggi, più di 400 prodotti.

Sulla rivi­sta Le Scienze, Dario Bres­sa­nini (autore di Le bugie nel car­rello. Le leg­gende e i truc­chi del mar­ke­ting sul cibo che com­priamo Chia­re­let­tere 2013) l’ha defi­nita «l’etichetta dei miei sogni»; Pie­tro Gior­dano, pre­si­dente di Adi­con­sum, l’ha pro­po­sta come cer­ti­fi­ca­zione guida per i con­su­ma­tori, pro­prio per­ché capace di indi­care le aziende che pro­du­cono in modo soste­ni­bile e che accet­tano di trac­ciare l’origine di tutti i loro pro­dotti. Per­fino mul­ti­na­zio­nali come De Cecco e Fer­rero hanno mani­fe­stato inte­resse per que­sta forma di cer­ti­fi­ca­zione. Prima che il TTIP venga scon­si­de­ra­ta­mente appro­vato dalla com­mis­sione euro­pea, oltre tutto in un anno in cui l’alimentazione sarà al cen­tro della visi­bi­lità media­tica per l’Expo di Milano, sarebbe impor­tante che un movi­mento come Slow Food, che pro­prio in que­sto momento sta ragio­nando su come spe­ri­men­tare nuove forme di cer­ti­fi­ca­zione ed eti­chet­ta­tura, facesse pro­pria la bat­ta­glia del pro­fes­sor Pia­nesi (pio­niere della macro­bio­tica ita­liana e pro­mo­tore in Ita­lia della prima coo­pe­ra­tiva bio­lo­gica nel 1975) affin­ché, tanto nel nostro Paese quanto in Europa, la sua pro­po­sta diventi legge.
Nell’incontro di Torino, Pie­tro Sardo ha soste­nuto che le «eti­chette nar­ranti» saranno una ver­sione più sem­plice di quelle «tra­spa­renti» pia­ne­siane. È un pec­cato però che, nei pro­to­tipi mostrati, la sem­pli­fi­ca­zione col­pi­sca pro­prio alcune voci fon­da­men­tali, come quelle rela­tive ai trat­ta­menti chi­mici subiti dagli ali­menti o all’impatto ambien­tale delle pro­du­zioni. Se «la tra­spa­renza è un’autentica rivo­lu­zione» non si capi­sce per­ché que­ste infor­ma­zioni non pos­sano essere rac­con­tate. Forse è arri­vato il momento, con il TTIP che incombe come un’ombra minac­ciosa all’orizzonte, che la pas­sione per la nar­ra­zione si tra­sformi dav­vero in una bat­ta­glia morale e legale per la trasparenza.



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