Si aggiravano — e agitavano — tutte le prime linee del partito del cavaliere, ieri, in Transatlantico. Compresi la quasi sempre assente Maria Rosaria Rossi e il tessitore Denis Verdini. Non è bastato, a tenere unito il gruppo, che ha continuato a dichiarare in ordine sparso. Tanto da fare avanzare un’ipotesi limite per i prossimi giorni: l’ultimo componente della Corte potrebbe essere scelto con gli stessi voti bastati a Silvana Sciarra, lasciando Forza Italia nelle sue indecisioni. Un segnale, quello partito da Matteo Renzi, che si abbatte sul Parlamento forte come il temporale che nel pomeriggio ritarda la partenza dei parlamentari in trolley. Scompagina le file del centrodestra, e — comunque vada davvero — dà l’opportunità ai 5 stelle di dimostrare di non saper dire solo no. Il vicepresidente della commissione Affari Costituzionali Danilo Toninelli attende il risultato davanti a un pranzo tardivo fatto di yogurt greco e miele, e ragiona: «Ha vinto il nostro metodo. Abbiamo condiviso la scelta prima nelle commissioni, poi in assemblea, infine sul blog. Abbiamo fatto fuori nomi impresentabili ed eletto persone lontane dalla politica». La stessa analisi che si ritrova poco dopo sul blog: «Il patto del Nazareno affonda. Renzi e Napolitano ne prendano atto, la smettano di giocare con la legge elettorale, la Costituzione, i suoi organi di garanzia e abbandonino le larghe intese e gli indicibili accordi stipulati in segreto ». Beppe Grillo tuitta soddisfatto: «Noi facciamo quello che diciamo», con le foto dei due eletti «confermati dal blog». Il capogruppo Pd Roberto Speranza commenta: «Abbiamo fatto uscire il Movimento dall’isolamento».
Il paradosso è che tra i 5 stelle — ieri — i più scettici sul fatto che il voto sulla Consulta possa essere preludio di nuove intese erano coloro che da mesi chiedono più dialogo. «Della Consulta tra una settimana non si ricorderà più nessuno — dice il deputato Walter Rizzetto — non credo che lo schema si possa replicare sulla legge elettorale, che figura ci faremmo dopo aver rinnegato il tavolo di luglio?». Mara Mucci parla di «posizioni troppo lontane», Sebastiano Barbanti dice, senza convinzione: «Me lo auguro, potremmo assolvere finalmente al nostro ruolo di portavoce ed essere incisivi». È invece dagli ortodossi — da chi è in contatto continuo con Grillo e Casaleggio — che arrivano le frasi più possibiliste. In assemblea, Toninelli ha ripetuto più volte: «Prendiamoci questa vittoria sulla Consulta, possiamo spenderla su altri tavoli, a partire dalla legge elettorale». È lui che, insieme a Di Maio, aveva proposto i sei punti per migliorare l’Italicum a Matteo Renzi. È lui che potrebbe farsene carico ancora una volta, «ma non dobbiamo sfuggire al metodo della condivisione, è quello che ci premia e ci mantiene uniti». E Roberto Fico: «Abbiamo dimostrato la nostra buona fede, di non avere pregiudizi se c’è da fare qualcosa per il bene dei cittadini. Noi siamo qui per questo. Ed è una cosa che vale sempre, per tutto. Temo però che quella di Renzi sia una visione troppo lontana dalla nostra, perfettamente incarnata dal decreto sfascia-Italia, tutto quello contro cui abbiamo sempre combattuto. Poi certo, se si pente delle sue cattive frequentazioni, se fa mea culpa, noi siamo qui».