Nella gabbia del lavoro gratuito

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Che sia giu­sta cia­scun lo dice, dove sia nes­sun lo sa! La «giu­sta retri­bu­zione» ful­cro della repub­bli­cana costi­tu­zione fon­data sul lavoro (l’unica al mondo, come sap­piamo, le altre pre­di­li­gendo il prin­ci­pio fon­dante della dignità della per­sona), un tempo appan­nag­gio natu­rale e scon­tato del cit­ta­dino lavo­ra­tore, in quanto deter­mi­nata dai con­tratti col­let­tivi nazio­nali di lavoro appli­cati ad una forza lavoro rac­colta senza molti resi­dui nel con­te­ni­tore del con­tratto di lavoro dipen­dente è sem­pre più una chi­mera, soprat­tutto nei luo­ghi che dovreb­bero garan­tirla e cioè i Tri­bu­nali. Un apprez­zato giu­sla­vo­ri­stapro-labour ha, recen­te­mente, chie­sto: «la retri­bu­zione in tempi di crisi: diritto sociale fon­da­men­tale o varia­bile indi­pen­dente?». La sua domanda è però rivolta al feno­meno di lima­tura che le retri­bu­zioni subi­scono, soprat­tutto in Europa, sotto la spinta delle poli­ti­che di auste­rity,nella tol­le­ranza delle Corti nazio­nali e sovranazionali.

Gli sti­pendi nel set­tore pub­blico diven­tano varia­bili dipen­denti dello spread e dei piani di «risa­na­mento»; nel pri­vato ven­gono ridi­men­sio­nati per il decli­nante potere sin­da­cale e per una com­pe­ti­ti­vità inter­na­zio­nale cui l’Unione euro­pea non con­trap­pone argini ade­guati (basterà pen­sare che in mate­ria retri­bu­tiva i Trat­tati esclu­dono un potere rego­la­tivo euro­peo). Ma que­sto pro­cesso riguarda i set­tori più tra­di­zio­nali della forza lavoro; altrove l’attacco al prin­ci­pio del decent work (che implica, secondo gli stan­dard dell’Onu, che que­sto sia pagato in una misura equa e si svolga in con­di­zioni tol­le­ra­bili), è più radi­cale e distrut­tivo in quanto a cre­scere è una quota sem­pre più con­si­stente della gior­nata lavo­ra­tiva non pagata in alcun modo, ma non per que­sto meno intensa ed impegnativa.

I set­tori che sono coin­volti da que­sta ondata che Marco Bascetta (il mani­fe­sto del 22 otto­bre) ha effi­ca­ce­mente descritto di «disre­tri­bu­zione» sono i nuovi lavori, nei quali — come amava ripe­tere la pio­nie­ri­stica rivi­sta Luogo comune — irrom­pono nella pre­sta­zione lavo­ra­tiva le com­po­nenti rela­zio­nali, affet­tive, comu­ni­ca­tive e lin­gui­sti­che dell’individuo. L’editoria, la ricerca in senso lato, la comu­ni­ca­zione, la for­ma­zione, le con­su­lenze, ma anche tanta parte del lavoro no-profit e volon­ta­rio sono in primo luogo i campi nei quali si cumu­lano due pro­cessi «disre­tri­bu­tivi»; da un lato, per anni, gli ope­ra­tori della pro­du­zione «post-salariale» svol­gono ser­vizi e atti­vità varie in una cor­nice fluida, nella quale il sog­getto cerca pro­gres­si­va­mente qual­che appi­glio per dare con­ti­nuità e rico­no­sci­mento alla pro­pria prestazione.

PRO­LI­FE­RA­ZIONI CONTRATTUALI

Le forme di que­sta lun­ghis­sima tran­si­zione pos­sono essere le più varie: da simu­la­cri di per­corsi for­ma­tivi, a con­su­lenze dall’incerto sta­tuto che con­fina con l’informale e l’amicale, sino all’accesso a uno degli innu­me­re­voli con­tratti pre­cari (decine..) che dovreb­bero nel tempo, nella spe­ranza delle per­sone, por­tare ad una qual­che forma di con­ti­nuità. L’altro aspetto, desti­nato a rima­nere per­ma­nente, è che l’aggiornamento e la valo­riz­za­zione di com­pe­tenze «cultural-produttive» rimane, salvo ecce­zioni, a carico delle per­sona, anche nell’ipotesi, sem­pre più rara e comun­que rin­viata sem­pre più avanti nella «car­riera», di una assun­zione. Bene: nei Tri­bu­nali rara­mente que­sto stato di cose viene messo in discus­sione. Non man­cano cer­ta­mente con­tro­ver­sie in cui ci si lamenta di una retri­bu­zione insuf­fi­ciente e tal­volta addi­rit­tura man­cante, ma non per i «nuovi lavori». Men­tre è ecce­zio­nale che un por­tiere, un auti­sta, un ope­raio lavo­rino senza mer­cede (senza ricor­rere alla giu­ri­sdi­zione), per il kno­w­ledge wor­ker o per gli innu­me­re­voli ope­ra­tore del no-profit è espe­rienza dif­fusa e comun­que ricor­rente della loro Bildung lavo­ra­tiva. Si tratta di capire se l’assenza di una richie­sta giu­di­zia­ria dif­fusa e con­si­stente di garan­zie ele­men­tari, che fa appa­rire la giu­sti­zia del lavoro molto meno uni­ver­sa­li­stica di quanto si creda e il dibat­tito sull’articolo 18 eccen­trico riguardo dina­mi­che così deva­stanti, dipenda da un cam­bia­mento di men­ta­lità, da una mal­for­ma­zione «costi­tu­tiva» del sistema delle tutele, dalla scarsa effi­ca­cia, anche in ter­mini di tem­pe­sti­vità, delle tutele giudiziarie.

C’ERA UNA VOLTA

Ora non vi è dub­bio che una certa atti­tu­dine del lavo­ra­tore «clas­sico» for­di­sta a ricor­rere alla giu­sti­zia dipen­deva da un insieme di pre­sup­po­sti e con­tin­genze che solo negli ultimi anni si sono rese più chiare. Innan­zi­tutto que­sto sog­getto agiva in genere in un ambiente comune uni­ta­ria­mente ai com­pa­gni di lavoro sulla base di una pre­de­fi­ni­zione con­trat­tuale piut­to­sto pre­cisa dell’impegno richie­sto. I con­tratti nazio­nali erano in fondo una media­zione riu­scita (attra­verso una solu­zione «crea­tiva» della nostra Corte costi­tu­zio­nale) tra la pre­vi­sione astratta della norma (la garan­zia all’articolo 36 della Carta fon­da­men­tale di una retri­bu­zione equa, ido­nea comun­que ad assi­cu­rare una vita digni­tosa al lavo­ra­tore e alla sua fami­glia) e la con­cre­tezza delle spe­ci­fi­che con­di­zioni di lavoro. Il giu­dice ordi­na­rio non doveva inven­tarsi un com­penso «equo», ma lo deri­vava dai minimi con­trat­tuali appli­ca­bili al rap­porto. Se tor­niamo al lavo­ra­tore pre­va­lente nel «mondo di ieri» il sistema stesso por­tava al con­fronto quasi spon­ta­neo tra la pro­pria situa­zione e quella degli altri col­le­ghi di lavoro e quindi ad agire pron­ta­mente nei casi di ingiu­sti­zia. Una forte sin­da­ca­liz­za­zione, resa più facile da un sistema pro­dut­tivo accen­trato, ope­rava da sen­si­bi­liz­za­zione di base, anche gra­zie all’assistenza di studi legali pro-labour con ser­vizi non a prezzi di mercato.

I pre­sup­po­sti spazio-temporali (una pre­sta­zione con­trat­tua­liz­zata, in un luogo defi­nito, per un tempo sta­bi­lito simile a quelle di migliaia di altri lavo­ra­tori) di un accesso di massa alla giu­sti­zia erano, quindi, piut­to­sto esi­genti e cer­ta­mente ancora esi­stono per milioni di lavo­ra­tori pri­vati (ma sem­pre di meno, in un declino molto rapido) e per quelli pub­blici. Ma appare evi­dente che non sono facil­mente repli­ca­bili per i «nuovi lavori», una galas­sia di atti­vità in cui ora­rio, luogo, con­te­nuti sono a dir poco pro­ble­ma­tici, senza voler insi­stere sulla man­canza di con­di­vi­sione e di comu­ni­ca­zione di espe­rienze indi­vi­duali nelle filiere disperse e irri­co­no­sci­bili della pro­du­zione con­tem­po­ra­nea, con il crollo della par­te­ci­pa­zione sin­da­cale (nono­stante alcuni impor­tanti e inno­va­tivi espri­menti) ed il dis­sol­versi di una rego­la­zione di natura col­let­tiva. Il lavo­ra­tore delle nuove fron­tiere pro­dut­tive, per riven­di­care un’attività di lavoro non retri­buita, dovrebbe comun­que cer­care di ricon­durre la pro­pria espe­rienza in uno degli sca­to­loni con­trat­tuali con­fe­zio­nati ad arte in que­sti ultimi decenni per impe­dire un comune oriz­zonte nor­ma­tivo, molti dei quali assu­mono ormai la cau­sale for­ma­tiva o di «prima espe­rienza», come ragione di una com­pres­sione (o nega­zione) del trat­ta­mento retributivo.

Se il con­tratto è for­ma­liz­zato dovrebbe pro­vare, ad esem­pio, che lo stage non era veri­tiero, che il lavoro a chia­mata era fuori dei casi pre­vi­sti, che le ipo­tesi di «garan­zia gio­vani» erano in frode delle nor­ma­tive Ue, che gli accordi inter­corsi con le orga­niz­za­zioni sin­da­cali per l’Expo a Milano che pre­ve­dono lavoro «volon­ta­rio» privo total­mente di qual­siasi com­penso sono di dub­bia lega­lità e via dicendo. Se non è for­ma­liz­zato resta a suo carico l’onere di pro­vare che si è trat­tato di un rap­porto di lavoro subor­di­nato con un ora­rio obbli­ga­to­rio, una retri­bu­zione con­cor­data, il che non è certo un onere banale. Sarà quindi neces­sa­rio ricon­durre un’attività fluida, discon­ti­nua, in cui vi sono anche momenti di com­ple­ta­mento for­ma­tivo e di appro­fon­di­mento cul­tu­rale, negli schemi rigidi e tali da osta­co­lare ogni inno­va­zione e spe­ri­men­ta­zione pro­pri del lavoro dipendente.

Non sem­pre que­sta ope­ra­zione riu­scirà per­ché una serie di atti­vità for­te­mente con­no­tate da ele­menti crea­tivi e da con­te­nuti «cul­tu­rali» o comu­ni­ca­tivi ecce­dono le gri­glie mor­ti­fi­canti del lavoro otto­cen­te­sco che costi­tui­sce lo stampo del lavoro garan­tito nella realtà del paese che ha la «costi­tu­zione più bella del mondo». Quella che potrebbe essere una for­tuna del lavo­ra­tore, avere una mag­giore fles­si­bi­lità nei tempi ed anche nei luo­ghi (ormai in molti lavo­rano da casa pro­pria!) si con­verte così nella dan­na­zione di dover inse­guire la figura giu­ri­dica che fu del metal­mec­ca­nico, pur di rice­vere una qual­che protezione.

Da decenni si sostiene che que­sto inse­gui­mento è senza senso ed è del tutto irra­gio­ne­vole, frutto di una meta­fi­sica del lavoro for­di­sta che, peral­tro, ha ancora qual­che seguito solo nei paesi del sud-Europa. In effetti la legge For­nero ha intro­dotto uno spi­ra­glio con­sen­tendo al giu­dice di liqui­dare al lavo­ra­tore a pro­getto un com­penso pro­por­zio­nato alla qua­lità e quan­tità della pre­sta­zione facendo rife­ri­mento ai livelli minimi retri­bu­tivi con­trat­tuali appli­ca­bili a pro­fili pro­fes­sio­nali com­pa­ra­bili. Ma si tratta di una misura che si applica al solo com­parto del lavoro auto­nomo for­ma­liz­zato, per giunta com­bat­tuto ed osteg­giato dalla legge del ’92 (che ne ha ristretto dra­sti­ca­mente l’ambito di appli­ca­zione), e oggi, nuo­va­mente, dal governo in carica. Per il lavoro auto­nomo in gene­rale (ad esem­pio a par­tita Iva) rimane la situa­zione gene­rale pre­vi­sta dal codice civile; si può chie­dere al giu­dice di deter­mi­nare un cor­ri­spet­tivo para­me­trato sul risul­tato otte­nuto e sull’impegno pro­fuso. Ma le norme pre­vi­ste sui com­pensi, al di fuori del campo della retri­bu­zione, riman­gono avulse da un con­te­sto più gene­rale di pro­te­zione e garan­zia simile a quello costruito attorno al lavo­ra­tore stan­dard. La causa, l’ultima ratio, quando si decide di «uscire dal giro» (com­pro­met­tendo per sem­pre i rap­porti con i com­mit­tenti del set­tore), quasi per ven­detta, non ha canali sin­da­cali ed è desti­nata a durare «una vita», attra­verso avvo­cati reclu­ta­bili sul libero mer­cato (quindi costo­sis­simi) e con tempi giu­di­ziari infi­niti ( licen­zia­mento e tra­sfe­ri­menti dei subor­di­nati hanno sem­pre la precedenza).

UN PRO­CESSO IN DIVENIRE

Che cosa nell’immediato si potrebbe fare? Una ridu­zione dra­stica delle forme con­trat­tuali che gene­rano spae­sa­mento, impe­di­scono che si sedi­men­tino para­me­tri retri­bu­tivi affi­da­bili, met­tono i lavo­ra­tori l’un con­tro l’altro e osta­co­lano il decollo di un asso­cia­zio­ni­smo sin­da­cale anche in ambiti di lavoro ine­diti. La radi­cale reduc­tiodelle for­mule di reclu­ta­mento della forza lavoro dovrebbe però essere affian­cata da una rego­la­zione corag­giosa del lavoro auto­nomo che offra a que­sti lavo­ra­tori un insieme di pro­te­zioni essen­ziali e omo­ge­nee (non neces­sa­ria­mente eguali) al lavoro dipen­dente, soprat­tutto quanto alla sta­bi­lità del rap­porto. Si dovreb­bero in que­sta pro­spet­tiva ridurre al minimo e con­te­nere tutte le forme di pre­sta­zione di atti­vità senza cor­ri­spet­tivo ripor­tan­dole ad ipo­tesi di carat­tere ecce­zio­nale, effet­ti­va­mente for­ma­tive o di pri­mis­sima esperienza.

Per sor­reg­gere que­ste tra­sfor­ma­zioni si dovrebbe intro­durre final­mente l’istituto del sala­rio minimo legale ( che è una poli­tica dell’Ilo) e con­se­guen­te­mente il prin­ci­pio per cui qual­siasi atti­vità per conto terzi deve «costare» un minimo ora­rio men­sile. Chi accampa, per non pagare, un rap­porto di stage, di for­ma­zione dovrebbe quindi dimo­strare l’effettività di que­sto rap­porto doven­dosi rigo­ro­sa­mente pre­su­mere il con­tra­rio e ciò var­rebbe anche per gli incre­di­bili accordi sin­da­cali di Milano; il sin­da­cato potrebbe quindi trat­tare, ma solo rispet­tando i minimi legali.

L’ultima urgente riforma non può che essere quella dell’introduzione, anche in Ita­lia, di un red­dito minimo garan­tito come dif­fuso in tutti i paesi euro­pei (eccetto il nostro e la Gre­cia) che, sal­va­guar­dando i biso­gni vitali delle per­sone, con­sen­ti­rebbe alle stesse di non cedere ai mille ricatti del capi­ta­li­smo «cogni­tivo» come accet­tare occa­sioni di lavoro senza retri­bu­zione, nella chi­mera di un posto di lavoro futuro e dure­vole. La rico­stru­zione delle regole, anche di con­trat­ta­zione indi­vi­duale e col­let­tiva nel mondo dei «nuovi lavori», non può che essere un pro­cesso in dive­nire, che valo­rizzi anche espe­rienze con­crete e spe­ri­men­ta­zioni sociali, ma per avviarlo occorre affer­mare intanto, come base per l’innovazione, lo ius exi­sten­tiae del cit­ta­dino lavo­ra­tore, in modo da ren­derlo capace di ante­porre la pro­pria «dignità» alla richie­sta di arric­chire altri senza alcun corrispettivo.

6) fine. I pre­ce­denti arti­coli sono stati pub­bli­cati il 22 (http://?ilma?ni?fe?sto?.info/?l?e?c?o?n?o?m?i?a?-?p?o?l?i?t?i?c?a?-?d?e?l?l?a?-?p?r?o?m?e?s?sa/), il 25 (http://?ilma?ni?fe?sto?.info/?i?-?s?o?g?n?i?-?i?n?f?r?a?n?t?i?-?d?e?i?-?f?r?e?e?-?l?a?n?ce/), il 29 (http://?ilma?ni?fe?sto?.info/?i?-?s?o?m?m?e?r?s?i?-?d?e?l?l?a?c?c?a?d?e?m?ia/) otto­bre, il 1 Novem­bre (http://?ilma?ni?fe?sto?.info/?e?x?p?o?-?2?0?1?5?-?i?-?d?a?n?n?a?t?i?-?d?e?l?l?e?v?e?n?to/e il 5 novem­bre (http://?ilma?ni?fe?sto?.info/?l?a?-?s?e?r?v?i?t?u?-?c?o?a?t?t?a?-?d?e?i?-?c?r?e?a?t?i?vi/)



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