«Italia frenata da criminalità e corruzione Già persi investimenti per 16 miliardi»

by redazione | 8 Novembre 2014 11:36

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MILANO Il «deficit di reputazione» — per usare una recente espressione del Censis — vale 16 miliardi di euro, il caso vuole lo stesso ammontare delle «coperture» della legge di Stabilità alla voce spending review. Sedici miliardi che potevano affluire nel nostro Paese sotto forma di investimenti esteri (tra il 2006 e il 2012) se solo avessimo avuto «istituzioni qualitativamente simili a quelle dell’area euro».
Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, suo malgrado, ieri si è trasformato in un convinto fustigatore dei mali italiani. Anzi del cancro per eccellenza: la criminalità organizzata. In un convegno ospitato nella sede milanese dell’authority di vigilanza Visco ha calcolato lo «spread di credibilità» del nostro Paese per effetto del potere pervasivo della malavita, capace di far salire «il costo del credito per le imprese meridionali di 30 punti base rispetto alle concorrenti attive in zone a bassa intensità criminale». Trenta punti base significa un costo del denaro più alto dello 0,3%, dato che si somma al differenziale tra i nostri titoli decennali e gli omologhi tedeschi, lì a certificare il diverso rischio-Paese. Il corollario — secondo Visco — è il fenomeno della corruzione, che si riverbera «sull’uso improprio dei fondi strutturali europei» per effetto di una scarsa qualità di alcuni amministratori locali «costo indiretto della presenza criminale».
A ulteriore conferma della tesi — segnala Visco — le 70mila segnalazioni (erano 12.500 nel 2007) di operazioni sospette da parte di intermediari e professionisti recapitate all’Unità di informazione finanziaria (Uif) di via Nazionale. Una divisione in stretto raccordo con le procure che analizza i flussi di denaro in chiave di antiriciclaggio e antiterrorismo. L’attività di pulitura di capitali illeciti suggerisce al Governatore un’esortazione indirizzata alle forze politiche nell’approvare con urgenza la legge sull’autoriciclaggio, disegno di legge approvato alla Camera il 17 ottobre e ora in seconda lettura al Senato: «Sarebbe un primo importante passo dopo anni di discussione», spiega il titolare di palazzo Koch ricordando un rapporto del Fondo monetario datato 2005 che invitava il governo a legiferare per contrastarne il fenomeno. D’altronde la determinazione del reato di autoriciclaggio — che si applica a chi non solo ha riciclato denaro illecito ma adotta anche una serie di azioni per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa — è un vecchio cavallo di battaglia della Banca d’Italia. Il provvedimento — «compromesso tra diverse visioni, anche molto distanti», sottolinea Visco — è contenuto all’interno della «voluntary disclosure», che punta a favorire l’emersione di capitali detenuti all’estero attraverso un’adesione volontaria.
Su questo tema si è espresso anche il procuratore aggiunto di Milano, Francesco Greco, tra i relatori del convegno, che ha stigmatizzato la lentezza con la quale il Parlamento sta procedendo a legiferare: «Sono soldi che perdiamo — ha detto — e poiché sono falliti tutti i sistemi di controllo e repressione c’è bisogno di un programma straordinario per ridurre i costi della corruzione». Analisi condivisa da Giorgio Santacroce, presidente della suprema Corte di Cassazione, che ha sottolineato la «normalità della corruzione» — iscritta a suo dire nel nostro corredo genetico — definita «riluttanza a osservare le regole». Certo è che nell’attuale scenario di stagnazione — rileva Visco — diventa fondamentale «ricreare le condizioni per crescere» e gran parte della ripresa può arrivare da un contrasto più deciso ai reati di truffa, riciclaggio ed evasione fiscale. Riformulando — se serve — anche il codice degli appalti (è la tesi di Santacroce, che in quel testo rinviene un caos indistinto di norme) tale da aver «svuotato la legge Merloni» partorita dopo Tangentopoli.
L’atto di accusa di Visco (e la perdita di investimenti esteri) ha trovato ieri orecchie attenti in Susanna Camusso, segretario generale Cgil: «Il tappo non è l’articolo 18, ma la corruzione da cui dipende gran parte del sommerso».
Fabio Savelli
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