Jobs act, regge l’accordo nel Pd Civati si arrende: in pochi diremo no

ROMA Anche Pippo Civati pare rassegnato: «Temo che la partita sia chiusa. Ci sarà qualche no, il mio di sicuro, spero quello di Cuperlo, Fassina e altri». Ma il Jobs act ha la strada spianata. Ieri è cominciato l’esame in commissione Lavoro della Camera dei 480 emendamenti: l’obiettivo è chiudere entro giovedì e arrivare in Aula venerdì. Matteo Renzi non recede e da Sydney incalza: «Basta con la filosofia del piagnisteo». Sulle proteste spiega: «Rispetto chi scende in piazza pacificamente, ma non sono più i tempi in cui bastava fare una manifestazione per mettere in crisi un governo. La realtà convincerà anche i più scettici ad arrendersi». Il premier accelera anche sulla legge elettorale e ironizza: «Se per eleggere il Papa fosse stata usata la legge elettorale del 2013, a San Pietro sarebbero usciti in quattro vestiti di bianco dicendo: ho vinto io».
Ma, intanto, si procede con il Jobs act alla Camera. Cesare Damiano, presidente pd della commissione, tra i protagonisti della mediazione, è ottimista: «Se tutto fila liscio, si va spediti». Quanto ad altri aggiustamenti: «Se c’è qualcosa che non mette in discussione l’impianto della delega, si fa». Terreno minato, perché l’Ncd sembra intenzionato a resistere, come spiega il capogruppo in commissione Sergio Pizzolante: «I contenuti dell’articolo 18 sono quelli concordati tra il ministro Poletti e il senatore Sacconi e non quelli interni al Pd. Le modifiche al testo del Senato possono riguardare solo limitatissimi casi assimilabili ai licenziamenti discriminatori». Riferimento alla novità (rispetto al Senato) del reintegro per i licenziamenti disciplinari. Fattispecie che sarà dettagliata solo nei decreti delegati (emanati dal governo, dopo il via libera dato dal Parlamento con la legge delega).
Ieri è stato respinto un emendamento M5S che chiedeva la soppressione della delega, con 23 voti contrari e 15 a favore. In commissione, il governo conta su una maggioranza di 26 membri su 46 (21 pd, 2 ncd e 3 centristi). I 5 Stelle hanno contestato la maggioranza: Claudio Cominardi ha definito i parlamentari «burattini nelle mani di Renzi».
Alessandro Trocino
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