Jobs act, regge l’accordo nel Pd Civati si arrende: in pochi diremo no

Jobs act, regge l’accordo nel Pd Civati si arrende: in pochi diremo no

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ROMA Anche Pippo Civati pare rassegnato: «Temo che la partita sia chiusa. Ci sarà qualche no, il mio di sicuro, spero quello di Cuperlo, Fassina e altri». Ma il Jobs act ha la strada spianata. Ieri è cominciato l’esame in commissione Lavoro della Camera dei 480 emendamenti: l’obiettivo è chiudere entro giovedì e arrivare in Aula venerdì. Matteo Renzi non recede e da Sydney incalza: «Basta con la filosofia del piagnisteo». Sulle proteste spiega: «Rispetto chi scende in piazza pacificamente, ma non sono più i tempi in cui bastava fare una manifestazione per mettere in crisi un governo. La realtà convincerà anche i più scettici ad arrendersi». Il premier accelera anche sulla legge elettorale e ironizza: «Se per eleggere il Papa fosse stata usata la legge elettorale del 2013, a San Pietro sarebbero usciti in quattro vestiti di bianco dicendo: ho vinto io».

L’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani, dopo le dure critiche dei giorni scorsi, chiarisce la rotta: «La fiducia si vota, non possiamo pensare che questo Paese possa andare in una fase di instabilità». Quanto all’opposizione, spiega, «non bisogna immaginare queste aree come una falange, è un’iniziativa in costruzione». Naturalmente la minoranza dem non ha intenzione di smobilitare, come dimostrano gli attacchi di Civati: «Non voto cose che ammiccano a destra, all’elettorato di Berlusconi». A dar manforte alla sinistra pd arriva anche Alexis Tsipras, leader del partito greco Syriza, che nel suo intervento a Firenze alla giornata di incontri della sinistra, attacca il segretario italiano: «Ue e Italia sono in pericolo a causa di un dogmatismo dovuto all’austerità che può essere un suicidio, e sono messe in pericolo dal fatto che il vostro premier è tornato indietro, mettendo nell’agenda neoliberista i rapporti di lavoro». Tsipras invita all’unità e alla lotta: «Radicalizzazione a sinistra vuol dire far proprio un programma politico di resistenze contro la barbarie neoliberista. Questo lo vediamo in Spagna, Grecia, Irlanda e anche in Italia, con le proteste come lo sciopero generale della Cgil».
Ma, intanto, si procede con il Jobs act alla Camera. Cesare Damiano, presidente pd della commissione, tra i protagonisti della mediazione, è ottimista: «Se tutto fila liscio, si va spediti». Quanto ad altri aggiustamenti: «Se c’è qualcosa che non mette in discussione l’impianto della delega, si fa». Terreno minato, perché l’Ncd sembra intenzionato a resistere, come spiega il capogruppo in commissione Sergio Pizzolante: «I contenuti dell’articolo 18 sono quelli concordati tra il ministro Poletti e il senatore Sacconi e non quelli interni al Pd. Le modifiche al testo del Senato possono riguardare solo limitatissimi casi assimilabili ai licenziamenti discriminatori». Riferimento alla novità (rispetto al Senato) del reintegro per i licenziamenti disciplinari. Fattispecie che sarà dettagliata solo nei decreti delegati (emanati dal governo, dopo il via libera dato dal Parlamento con la legge delega).
Ieri è stato respinto un emendamento M5S che chiedeva la soppressione della delega, con 23 voti contrari e 15 a favore. In commissione, il governo conta su una maggioranza di 26 membri su 46 (21 pd, 2 ncd e 3 centristi). I 5 Stelle hanno contestato la maggioranza: Claudio Cominardi ha definito i parlamentari «burattini nelle mani di Renzi».
Alessandro Trocino


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