Jobs act, Renzi convince quasi tutto il Pd
Sì al reintegro per i licenziamenti disciplinari. «Grande passo avanti, dal 2015 oltre l’articolo 18» Ma la minoranza si divide. Insorge Ncd che chiede un vertice di maggioranza: la partita è aperta
Il lavoro tecnico è stato poi fatto in commissione, protagonisti Filippo Taddei, responsabile renziano dell’economia del Pd, e Cesare Damiano, minoranza dem, ex Cgil (in piazza il 25 ottobre) che si dichiara «molto soddisfatto». Alla fine si decide di intervenire su alcune materie: l’articolo 18, che comprenderà il reintegro anche per licenziamenti discriminatori e disciplinari ingiusti (come deciso in direzione pd), controlli a distanza, cure parentali, monitoraggio degli effetti della delega e impegno ad aumentare i fondi per gli ammortizzatori sociali (nella legge di Stabilità).
Strappato il sì a una parte della minoranza, restano le critiche di Civati e Cuperlo. Che spiega: «Non c’è una parola sui licenziamenti, così ci sarebbe un eccesso di delega. Resto dell’idea che non si possono escludere dal reintegro i licenziamenti manifestamente infondati».
Ma Area riformista (Speranza) sembra aver assorbito gran parte del dissenso. Stefano Fassina: «Vediamo, ma il governo fa un passo indietro, molto apprezzato». Dopo gli emendamenti non è esclusa la fiducia sul nuovo testo, come precisa Renzi. Che da Bucarest promette: «Dal 2015 l’articolo 18 sarà superato». Risolto un problema nel Pd, ne sorge un altro. Renato Brunetta (FI) protesta: «Anteporre il Jobs act alla legge di Stabilità e fissarlo al 26 novembre è un sopruso». Maurizio Sacconi (Ncd) chiede un nuovo vertice di maggioranza: «La riforma sia vera o non la votiamo». La prima risposta del ministro Maria Elena Boschi sembra un no: «Basta il lavoro parlamentare». Parole che provocano l’irritazione di Nunzia De Girolamo: «Non è la portavoce di Renzi». Ma l’interpretazione autentica della Boschi è questa: nessun «no» secco, solo che non serve un «vertice partecipato come quello di lunedì», ci saranno «incontri di maggioranza».
De Girolamo e Sacconi vanno a parlarne a Palazzo Chigi. Interlocutorio il commento: «La partita è aperta. Non partecipiamo al patto del gambero». Anche Scelta civica, con Pietro Ichino, è in allarme: «Qualunque modifica va concordata in maggioranza». Duri i 5 Stelle: «Tutti in ginocchio di fronte ai capricci del premier».
Alessandro Trocino
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