Legge elettorale, cambia il patto

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ROMA Sbarramento più basso (del 3%) per l’accesso dei piccoli partiti in Parlamento, più spazio alle preferenze pur mantenendo il sistema dei capilista bloccati, una soglia più alta (al 40%) per ottenere il premio, destinato al partito e non alla coalizione vincente e la possibilità di candidature multiple che tanto stanno a cuore ad Angelino Alfano. L’accordo di maggioranza sulla legge elettorale siglato ieri sera a Palazzo Chigi (presente anche la presidente della I commissione del Senato, Anna Finocchiaro) sbarca oggi alle 16 a Palazzo Madama: qui, appunto, un ufficio di presidenza stenderà il calendario dei lavori in commissione dove l’Italicum è fermo dallo scorso 12 marzo.
Passare però da un canovaccio al testo di legge vero e proprio non sarà facile. Anche perché Forza Italia non vorrebbe cambiare l’Italicum varato il 12 marzo dalla Camera. Invece, per un motivo di pura sopravvivenza, l’abbassamento delle soglie di accesso interessa i piccoli e medi partiti (Ncd, Lega, Sel, FdI, Udc e altri).
L’Italicum, approvato dalla Camera, sbarra il passo ai partiti singoli che vanno sotto l’8% mentre la soglia scende al 4,5 % se il partito in questione è coalizzato. Questo sbarramento è sempre stato improponibile per Alfano ma anche per Lega, Sel e centristi che non vogliono morire schiacciati dal «duopolio» Pd-FI. Eppure Renzi, anche per motivi tattici, è stato fin dall’inizio più malleabile di Berlusconi perché gli alleati del Ncd ne fanno da sempre una questione di vita o di morte. Berlusconi, invece, sa che una soglia inferiore al 6% garantisce troppo ossigeno alla concorrenza «interna» di Ncd e della stessa Lega. In ogni caso c’è la Consulta che ha già messo in mora il Parlamento sul Porcellum: potrebbe ora accettare un meccanismo (sbarramento e premio di maggioranza) che esclude dalla rappresentanza un quarto degli elettori?
Un altro punto da cambiare è il meccanismo di scelta dei parlamentari. Con la scusa dei 120 collegi piccoli, l’Italicum prima versione conferma i listini bloccati che pure la Corte ha paragonato a una «ferita della rappresentanza» nella versione maxi del Porcellum. La correzione concordata tra Renzi e Berlusconi prevedeva, in prima battuta, un capolista bloccato e un secondo candidato eleggibile con le preferenze. Ma anche con questo sistema i «nominati» sarebbero tantissimi: se FI dovesse avere 120 deputati, questi sarebbero tutti indicati dall’ex Cavaliere. Se il Pd dovesse mantenere i suoi 300 deputati, 120 sarebbero nominati e 180 scelti con le preferenze. Lo stesso per il M5S: fino a 120 seggi non c’è spazio per chi non è in linea con Grillo mentre dal 121° seggio si aprirebbe la «guerra» delle preferenze .
Per questo ci sono sul tappeto altre due variabili: la prima, attribuibile al ministro Boschi (Riforme), prevede il 70% degli eletti col sistema delle preferenze e un 30% dei seggi bloccati (listino). La seconda, riconducibile al vice di Renzi, Guerini, allarga i collegi (da 120 scenderebbero a 60), mantiene il capolista bloccato ma ha l’effetto non secondario di spalmare gli eletti con le preferenze anche tra i perdenti e non solo tra i vincenti. Questa ipotesi è quella più gradita ad Alfano.
Infine c’è il premio di maggioranza dato al partito e non più alla coalizione vincente che tanto affascina Renzi e la soglia di accessi al 3% con la quale Anfano non sarebbe costretto ad allearsi con FI. Anche se rimettere in discussione la natura del premio pensato per introdurre il doppio turno può significare che la legge approvata alla Camera 240 giorni fa non è più l’originario patto del Nazareno.
Dino Martirano


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